Archiviata la sesta puntata, The Young Pope, procede lentamente verso la grande rivoluzione ecclesiastica annunciata da Lenny Belardo e la conseguente, probabile, “apocalisse” che le sue scelte comporteranno.
L’incontro con il capo di stato italiano, Tonino Pettola, una gravidanza miracolosa tanto quanto quella della vergine Maria e, soprattutto, le scene nelle cappella sistina; Sorrentino ha costruito due sontuose puntate di grande intrattenimento, classe e un grande citazionismo.
Lasciando stare un attimo Maradona (che Sorrentino riesce più o meno a far comparire in ogni cosa che gira) è il caso di ricordare, nostalgicamente, una citazione a un film e ad una sequenza che quando si parla di Fellini non si cita quasi mai: la sfilata della moda del clero.
Dopo la stagione dei grandi successi, da La Strada a Giuletta degli spiriti e due anni prima di girare Amarcord, Fellini si è dedicato al film più assurdo, folle, colorato e postmoderno della sua carriera. Roma è un flusso di coscienza, un grande monologo di Fellini con la città e con i suoi ricordi, i suoi segreti e il suo folklore.
C’è un ingegnere che racconta quanto sia difficile costruire la metropolitana a Roma perché ogni giorno si incontrano reperti diversi, ci sono i bordelli dei ricchi e i bordelli dei meno ricchi, le grandi trattorie dove tutti mangiano in mezzo al rumore e al caos, i movimenti politici studenteschi che rivolgono a Fellini stesso alcune domande. Il regista, come anche in Intervista, è il protagonista e racconta la storia che la città gli ha ispirato. Più di 81/2 e de La dolce vita, Roma è il calderone dal quale Sorrentino pesca di più e da cui si fa più ispirare.
Gli ‘eroi’ del cinema del regista napoletano sono caratterizzati prima di tutto dal modo di vestire. Gambardella e i suoi completi improbabili sono già oggetti di culto, come il braccio fasciato per non si sa quale ragione di Geremia Cuore d’Oro ne L’amico di famiglia e il trucco massiccio di Cheyenne in This must be the place. Lenny Belardo ci era sempre apparso bianco, in tuta o in tunica, come ogni pontefice che si rispetti, fino al momento in cui svela ai cardinali, anche dal punto di vista formale, la sua vera natura.
Prova diversi costumi, davanti allo specchio, con gli assistenti che osservano e sotto le note di I’m sexy and i know it in tono contrappuntistico per alimentare il grottesco e liberare la scena della sua sacralità. Sorrentino segue la “sfilata di moda del clero” di Fellini e imprime alla scena la stessa paura che scaturiva dall’apparizione del pontefice in Roma. Entrambi arrivano con la portantina, ricoperti d’oro e gioielli, con un cappello dal gusto quasi Rococò e gli occhi che non hanno neanche bisogno di aprirsi e al posto delle parole si innalzano la musica e i suoni.
Fellini e Sorrentino giocano sempre sul contrasto tra sacro e profano che vive e regna nella capitale e quindi, mentre Voiello annuncia l’imminente crisi economica e di stato che attende Città del Vaticano, Lenny cambia pelle una volta per tutte e mostra un abito ogni volta diverso e ogni volta più sfarzoso.
Fellini e Sorrentino raccontano, quindi, un messaggio analogo, veicolati con la metafora dei vestiti per cui la chiesa e più in generale la chiesa, sono due cose bellissime ed affascinanti di cui avere grande paura.
The Young Pope, oltre a essere una grande serie, diventa anche un pretesto per (ri)vedere uno dei film meno discussi e adorati di Fellini, sicuramente non il migliore della filmografia di Fellini ma senza dubbio il più folle, bizzarro, strano e più citato da Sorrentino.