Il tema dell’Olocausto è profondamente radicato nell’identità occidentale, tanto che ad oggi è quasi impossibile trovare un festival europeo in cui non sia rappresentato da almeno una pellicola. La programmazione ‘scientifica’ dell’odio e dello sterminio è un abominio tale da farci interrogare sulla natura stessa dell’esperienza umana, e per questo si presta perfettamente alle riflessioni della settima arte, tanto da diventare un sottogenere a sé.
Mick Jackson, regista televisivo di lungo corso con una manciata di pellicole cinematografiche all’attivo (tra cui alcune molto popolari come Guardia del Corpo e Vulcano – Los Angeles 1997), per il suo ritorno in sala decide di esplorare quello che probabilmente è l’unico argomento più sgradevole dell’olocausto in sé, e cioè la sua convinta negazione. Con La verità negata (Denial) Jackson affronta infatti il tema del negazionismo, e per farlo sceglie una strada che lo salva dall’altissimo rischio di banalità e retorica – inevitabile quando si tratta un argomento così sensibile – adottando la forma del courtroom drama.
Il processo Irving contro Lipstadt fece parlare molto di sé nei primi anni ’90, quando un carismatico negazionista citò per diffamazione una stimata accademica, e una corte britannica fu chiamata a pronunciarsi per confermare o smentire l’esistenza storica dell’olocausto. È proprio questa la storia che adatta per lo schermo lo sceneggiatore David Hare (The Hours), partendo dal best-seller scritto dalla stessa Lipstadt sulla vicenda: History on trial: my day in court with a holocaust denier.
Gli ingredienti per una buona pellicola ci sono tutti: un argomento ad alto impatto emotivo, una forma-racconto che tiene incollati allo schermo, un soggetto basato su una storia vera e soprattutto un cast entusiasmante. Nei panni di Deborah Liepstadt troviamo infatti la sempre perfetta Rachel Weisz, cui viene riservato nella storia un peso meno preponderante rispetto a quanto sarebbe lecito aspettarsi; al suo fianco un solidissimo Tom Wilkinson (Se mi lasci ti cancello, Batman begins) nei panni dell’avvocato Richard Rampton e a rubare la scena a ogni sua apparizione uno straordinario Timothy Spall (noto al grande pubblico soprattutto per esser stato Codaliscia nella saga di Harry Potter), che porta in scena il sedicente storico e simpatizzante nazista David Irving.
L’interpretazione di Spall è tanto maiuscola che vi ritroverete a odiarlo ed esserne affascinati al contempo, ed è questa scelta tutt’altro che scontata ad essere il vero motore della pellicola. Anziché adagiarsi su una lapalissiana e piatta condanna delle tesi negazioniste, Jackson decide infatti di sfidare un tabù e insinuare un dubbio moralmente inaccettabile nello spettatore, cioè che la storia come ci è stata consegnata sia una farsa scritta dagli Alleati. D’altronde si sa che la storia la scrivono i vincitori. Ovviamente lo script si farà carico di restituire giustizia alle vittime dell’Olocausto, ma nel suo svolgimento riserverà più di una sorpresa.
Come già detto, la scelta di portare sullo schermo un dramma processuale limita di molto il campo d’azione cinematografico e artistico, ma – coerentemente con la filmografia del regista – si conferma compatibile con la volontà di raggiungere un pubblico estremamente eterogeneo, grazie soprattutto alla forte tensione narrativa garantita dal confronto diretto tra accusa e difesa. La verità negata non sarà un capolavoro, ma di certo è un film coerente con i propri intenti e perfettamente riuscito, che forse vuole ricordare a una contemporaneità sovraesposta al flusso delle informazioni l’importanza di distinguere l’attendibilità delle fonti. Perché la verità è una ricchezza da ricercare e da proteggere, anche nel consumo mediatico di tutti i giorni.
La Verità Negata: la recensione in anteprima (no spoiler)
Rachel Weisz, Timothy Spall e Tom Wilkinson sono i protagonisti di un riuscitissimo courtroom drama sul negazionismo e sulla verità storica dell'Olocausto.