Esordio alla regia per Mauro Ruvolo con Ab Urbe Coacta, riuscito esempio del cinema del reale. Protagonista è Mauro Bonanni, detto Barella, un 65enne di Torpignattara che gestisce un’attività di autodemolizione: viene da un ambiente di povertà e affronta la trasformazione dello scenario di Roma, invasa da immigrati. Una situazione vissuta tutt’altro che serenamente dai romani, rappresentati universalmente in questo documentario da Barella, che vive una contraddizione interiore e mentre malsopporta questa ‘invasione’ è al contempo attratto dall’Africa. Questo dualismo è ben rappresentato da Ruvolo, soprattutto nel rapporto brusco che Bonanni ha con i suoi operai allo sfascio e in quello con Blaise, suo ex operaio del Benin trasferitosi a Cuneo per lavoro. Le terre lontane dell’Africa rappresenteranno l’unica via di uscita da una vita squallida per Barella, che deciderà di fuggire dalla ‘prigionia’ capitolina.
Al centro di Ab Urbe Coacta troviamo la contraddizione tra disprezzo e fascinazione, un razzismo superficiale unito alla voglia di evadere (coacta letteralmente significa rinchiusa, forzata) da certi ambienti ristretti. Lo scarto tra passato e presente è rappresentato con il cambio di scenario vissuto da Roma agli occhi del protagonista, con il cambiamento che prende la forma di un numero crescente di attività commerciali gestite da extracomunitari.
Un lavoro interessante quello di Ruvolo, one-man project: ha infatti gestito da solo le riprese, il montaggio e le musiche, scegliendo di puntare su una troupe ridotta all’osso. Il motivo? Per non minare la dimensione confidenziale dei non-attori e la sensazione di verità. Poca fiction dunque in un’opera senza manipolazione che cerca sì di dare un senso narrativo alla storia, ma che tende a porsi in una posizione di registrazione di un documento. Un verismo cercato e trovato su temi come l’integrazione e l’immigrazione. Nessuna presa di posizione: l’obiettivo è quello di fornire allo spettatore un punto di vista documentaristico in senso letterale. In sintesi, la volontà di Ruvolo è quella di documentare la reazione di Roma di fronte ai nuovi scenari etnici.
Il documentario appare frammentato, con immagini che scorrono apparentemente senza un filo logico ma che in realtà vogliono rappresentare passato e presente. Lo stile è certamente elaborato, dal punto di vista della fotografia tutto è messo a fuoco. Un lavoro coraggioso, un’opera prima convincente che vuole dare voce alle periferie di Roma e, metaforicamente, alle periferie di tutto il mondo.
Ab Urbe Coacta: la recensione in anteprima
Il documentario di Ruvolo racconta una romanità divisa tra intolleranza per il diverso e fascinazione per l'Africa.