Un luogo comune recita che da anziani torniamo tutti come bambini. Di fronte alle immagini di Une jeune fille de 90 ans (traduzione letterale: Una fanciulla di 90 anni) mai cliché è sembrato più falso. Il 2016, per Valeria Bruni Tedeschi, è l’anno del successo con La pazza gioia di Paolo Virzì. Ma è anche l’anno della sua quarta prova dietro la macchina da presa. Il suo cinema ha il fascino sottile che caratterizza ogni sua interpretazione: misurata, naturale ma profondamente magnetica. La sua filmografia si divide tra Italia e Francia, privilegiando il cinema d’autore, senza escludere qualche incursione nel mainstream e i blockbuster internazionali. In Italia, ha vinto il David di Donatello come protagonista de La seconda volta (1995) e La parola amore esiste (1998), entrambi di Mimmo Calopresti, e per Il capitale umano (2014) di Virzì. Nel 2003 firma la prima regia con E’ più facile per un cammello… Proseguirà con i lungometraggi dal titolo Actrices (2007) e Un castello in Italia (2013).
Per Valeria Bruni Tedeschi, questo doveva essere l’anno del primo documentario. Come ha raccontato al pubblico del RIFF, il festival che ha scelto per presentare il film in anteprima europea, non esisteva una sceneggiatura definita al dettaglio: solo la voglia di realizzare un documentario con Yann Coridian. Questo desiderio ha trovato forma nel reparto geriatrico dell’ospedale Charles Fox D’Ivry. Qui, grazie anche al coreografo Thierry Thieu Niang, artista francese di origine vietnamita, hanno realizzato un’opera assolutamente coraggiosa.
Une jeune fille de 90 ans è ambientato in una struttura ospedaliera riservata a grandi anziani, affetti da gravi disabilità fisiche e mentali. Molti di loro sono progressivamente consumati dall’Alzeheimer. Alcuni sono completamente soli: non hanno più parenti che possano visitarli, anche solo di tanto in tanto. Certo, questi anziani necessitano assistenza per tutte le necessità primarie. Le loro esplosioni di gioia, rabbia o tristezza sono quasi sempre imprevedibili. Ma non hanno davvero niente dei bambini. Al contrario, nel loro sguardo c’è il peso di una vita intera, decenni di sbagli, sconfitte, il ricordo di quello che hanno visto e ora è irrimediabilmente andato. Cercano di parlare delle persone che hanno amato. Quasi sempre si perdono prima di ricordare i loro nomi.
Il film di Valeria Bruni Tedeschi sfida così uno dei tabù più radicati nella società contemporanea, che non è la morte, ma la sofferenza e il decadimento fisico. Mostra l’incubo di essere soli, accuditi da estranei, quando corpo e mente non rispondondono alla nostra volontà. In questo scenario il film porta l’incantesimo della danza, ma soprattutto dell’affinità istintiva tra due esseri umani.
Une jeune fille de 90 ans ha una grazia quasi irreale, mentre di addentra in un territorio così difficile. Riesce a catturare il lampo di gioia negli occhi di queste donne, che avevano rinunciato per sempre alle sorpresa, l’emozione, quella che noi possiamo dire vita. C’era un dettaglio che gli autori non avevano previsto: l’incontro tra Thierry e Blanche Moreau. In quel momento, per usare le stesse parole di Valeria Bruni Tedeschi, Blanche si è impossessata del film. Tra l’anziana fanciulla e Thierry scatta immediatamente un’affinità diversa. Senza di lui Blanche dorme o passeggia svogliatamente, sempre a disagio, con lo sguardo di chi è confinato in un luogo estraneo. Si tiene a distanza dagli altri anziani del cronicario. Loro, le restituiscono l’immagine crudele della sua vecchiaia. Appena Thierry si avvicina, e Blanche accenna un passo di danza, il suo volto si accende e diventa nell’immagine dello stupore.
Non diremo altro dell’amicizia che cresce tra Blanche e Thierry. La poesia delle loro strane evoluzioni, ogni volta che ballano, è difficile da dire a parole. Si tratta un momento magico anche per chi guarda. Un momento carico non solo di emozioni, ma di significato. Une jeune fille de 90 ans ha decisamente conquistato il pubblico del Rome Independent Film Festival.
Valeria Bruni Tedeschi ha risposto a lungo a tutte le domande. Ha parlato anche delle paure, delle questioni etiche che si ponevano agli autori. Lo scopo del laboratorio, non era terapeutico, ma puramente artistico. Potevano ferire Blanche e gli altri protagonisti del film? La risposta dei medici è stata che riportare la vita nelle loro giornate, seppure attraverso una cosa labile come le emozioni, non poteva essere un male. Il documentario di Valeria Bruni Tedeschi e Yann Coridian, ci lascia con la sensazione rarissima di aver visto una cosa diversa, e avere davvero imparato qualcosa. Speriamo che Une jeune fille trovi presto una distribuzione e un network disposto ancora a scommettere su un’ora e mezza di cinema di poesia.