Come noto a tutti, da qualche anno Netflix ha adottato l’aggressiva strategia di “invadere”, con qualche eccezione eccellente, il mercato globale con il suo servizio di streaming (solo nel 2016, la multinazionale americana è sbarcata in 190 paesi) e, tra le altre cose, ha incentivato la produzione di serie originali non in lingua inglese (a partire dal 2015). A dirla tutta, fino ad ora non abbiamo visto show indimenticabili, visto che da Club de Cuervos passando per il pessimo Marseille la produzione estera di Netflix ha lasciato un pò a desiderare. Ma è dal Brasile che arriva il primo, vero show convincente in lingua straniera: stiamo parlando di 3%, una serie distopica a low budget resa disponibile dalla piattaforma il 25 novembre.
Questa produzione brasiliana ci porta in un mondo dove solo il 3% degli eletti posso aspirare ad una vita piena di privilegi.
In un domani non così lontano, la società è divisa in due grandi blocchi: ci sono i poveri, la stragrande maggioranza, che riesce a stento ad andare avanti nella vita di tutti i giorni (siamo chiaramente in un mondo post-apocalittico) e poi c’è l’elìte, quel 3% della popolazione, che invece è destinata a vivere nell’Offshore, una specie di Eden dove la gente vive senza alcune preoccupazioni di sorta. A decidere chi può far parte dell’Offshore e chi no è il Processo, un’organizzazione con a capo un selezionatore di nome Ezequiel (João Miguel) che ha il compito di scremare tutti i candidati che annualmente si presentano per realizzare il loro sogno di entrare nell’Offshore ma alcuni ragazzi all’interno del processo di selezione sono in realtà degli appartenenti alla Causa, un gruppo rivoluzionario che vuole eliminare questi privilegi immotivati.
3% è una metafora, non tanto velata, dell’attuale condizione della società brasiliana.
Non è un caso che la serie sia stata concepita nel paese sudamericano: il Brasile è il paese che ha uno dei tassi di disuguaglianza più alti al mondo, è chiaro quindi che il tema della sperequazione tra le varie classi sociali sia molto sentito da quelle parti. Nata dalla mente del suo creatore Pedro Aguilera come webserie nel 2011, 3% è praticamente un Battle Royale (o un Hunger Games, se preferite) ambientato in un futuro sci-fi alla Black Mirror; di per sé, il soggetto di partenza non è dei più originali ma ci sono diverse trovate degne di nota: innanzitutto è molto interessante vedere come gli autori hanno strutturato le fasi delle selezioni del Processo, molto realistiche e molto simili alle prove che una qualsiasi multinazionale fa sostenere ad un candidato in un normale colloquio di lavoro; inoltre, anche se già trattato in opere come Blindness, ritorna qui la questione di come l’essere umano, in condizioni di estremo pericolo, tiri fuori la parte migliore (o peggiore) di sé ed è in questo contesto che i vari personaggi si evolvono, ognuno con una personalità ben definita e con una storia alle spalle (che viene spiegata in ogni episodio con l’espediente del flashback, alla Orange Is The New Black). In contrasto all’ambientazione fantascientifica, lo stile registico operato dal candidato premio Oscar César Charlone (direttore della fotografia che ha lavorato in City Of God e, appunto, Blindness) è di stampo semidocumentarista, con un ampio uso della camera a mano per rendere, agli occhi dello spettatore, la storia molto più verosimile (e vicina alla nostra realtà) di quanto effettivamente sia; la scelta di girare la stragrande maggioranza delle scene in interni è dovuta esclusivamente al piccolo budget a disposizione (cosa che si nota quando entra in gioco la CGI), risibile in confronto alle altre serie Netflix considerando che 3% è costata meno di 3 milioni di dollari: se vogliamo fare un paragone, la seconda stagione di Marco Polo, show appena cancellato dalla piattaforma di streaming più famosa al mondo, è costata 33 volte tanto! La trama scorre via liscia che è un piacere, nonostante perda un pò di mordente ed originalità nella seconda parte a causa dell’utilizzo di molti topoi del genere (alcuni plot twist sono abbastanza telefonati) e il cast, composto fondamentalmente da attori emergenti sconosciuti, fa bene il proprio dovere.
Rinnovata a tempo di record per una seconda stagione, 3% getta una luce di speranza sui futuri progetti non americani di Netflix (ed è un bene, dato che nel 2017 esordirà l’italianissimo Suburra) e dimostra, ancora una volta, che non è necessario un budget stellare per tirare fuori un prodotto di assoluto valore.