Alzi la mano chi non ha mai segretamente desiderato di trovare un biglietto d’oro aprendo una barretta di cioccolato. Poco plausibile, è vero, ma l’importante è tenersi sempre stretta l’immaginazione. È quello che accade a Charlie Bucket (Peter Ostrum), un bambino povero che vive con la madre e i quattro nonni in una piccola e misera casa, poco distante da una maestosa Fabbrica di Cioccolato. A dirigere la fabbrica c’è Willy Wonka (Gene Wilder), magnate del mondo dei dolciumi, creatore di magiche e misteriose ricette, che decide inaspettatamente di aprire le porte della sua casa-fabbrica ai cinque fortunati che troveranno il biglietto d’oro dentro una delle barrette Wonka. Quando Charlie ha ormai perso le speranze, ecco che finalmente trova l’ultimo biglietto dorato. Inizia così la sua avventura all’interno della Fabbrica di Cioccolato più magica di sempre, accompagnato da suo Nonno Joe (Jack Albertson), dagli altri quattro vincitori, e da Willy Wonka stesso.
COME SI DIVENTA UN FILM DI CULTO?
Nonostante Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato sia indiscutibilmente un film culto, di quelli capaci di sedimentarsi nella mente e nei cuori di generazioni di spettatori, quando uscì nel 1971 non fu accolto con grande entusiasmo, e nonostante venne definito da Roger Ebert “un nuovo Il Mago di Oz“, guadagnò appena 4 milioni di dollari a fronte di un budget di 3, tanto che la Paramount cedette presto i diritti di distribuzione. Un’accoglienza sicuramente migliore la ebbe invece al momento del rilascio della versione home-video negli anni ’80 e con la re-release Warner Bros. del 1996, che segnarono la definitiva consacrazione della pellicola a classico della storia del cinema. Inoltre la frequente programmazione televisiva – spesso in periodo natalizio – ha contribuito a cementare la popolarità della pellicola come film per famiglie, che con i suoi colorati numeri musicali parla ai bambini ma con le sue atmosfere perturbanti e la crudele ironia si rivolge direttamente anche al pubblico adulto.
Impossibile, infine, non citare anche i meme di Willy Wonka, che hanno permesso al Wonka di Wilder di entrare in contatto con una nuova generazione di estimatori.
IL REGISTA ‘SCONOSCIUTO’, IL FILM SULL’ANTICRISTO E LA ZOPPIA DI WILLY WONKA
Alla regia di questa storica trasposizione del romanzo di Roald Dahl c’è Mel Stuart, che nonostante una brillante carriera di produttore non può certo dirsi un regista di particolare fama o prolificità, nonostante la nomination all’Oscar per il suo documentario Quei Quattro Giorni di Novembre. Lo script invece porta la firma di David Seltzer, che proprio negli anni ’70 stava vivendo il periodo più proficuo della propria carriera di sceneggiatore: nel 1975 avrebbe infatti pubblicato la trasposizione romanzata del suo copione di The Omen – Il Presagio, che, essendo uscita prima del debutto in sala della pellicola diretta da Richard Donner con le interpretazioni di Lee Remick e Gregory Peck, venne da molti ritenuta erroneamente la fonte d’ispirazione letteraria del film ed ebbe un inaspettato successo. Quasi superfluo poi ricordare i talentuosissimi compositori Leslie Bricusse e Anthony Newley, che con la colonna sonora del film conseguirono una nomination agli Oscar e i cui brani Pure Imagination e Oompa Loompa sono ormai diventati patrimonio comune.
Il merito principale dietro il successo di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato è però senza dubbio soprattutto dell’iconica interpretazione consegnataci dal geniale Gene Wilder, che costruisce un Willy Wonka straordinariamente carismatico, ambiguo e imprevedibile. Riassume bene tale approccio la zoppia presente nella sua apparizione in scena, che progressivamente sparisce e ‘cede il passo’ a salti e capriole: non una semplice burla, ma un modo per sottolineare quanto sia sfuggente e misterioso il personaggio di Wonka; un espediente che Wilder mise come conditio sine qua non per l’interpretazione dello strambo cioccolatiere. Wilder solo tre anni prima di questa interpretazione aveva lasciato un segno con il provocatorio Per favore non toccate le vecchiette di Mel Brooks e, in seguito, avrebbe costruito una galleria di personaggi straordinari con pellicole come Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso* (*ma non avete mai osato chiedere) di Woody Allen, il capolavoro di Brooks Frankenstein Junior, ma anche con il celebre La signora in rosso e il divertentissimo Non guardarmi… Non ti sento in coppia con Pryor. Eppure, nonostante una filmografia invidiabile, il personaggio di Wonka rimane forse il suo lascito più memorabile.
I PIGMEI AFRICANI, IL PADRONE SCHIAVISTA E I CEREALI RAZZISTI
Una delle più caratteristiche presenze nel film di Mel Stuart sono di certo gli Umpa Lupa, minuti e colorati operai nella magica fabbrica di cioccolato. Quel che tutti non sanno è che il lavoro di adattamento su pellicola dei personaggi si dimostrò particolarmente ostico: infatti nel libro di Dahl gli Umpa Lumpa erano degli Africani pigmei, e in quegli anni ’70 in cui la popolazione nera stava iniziando a conseguire le prime conquiste civili e politiche, le sfumature razziste dello scritto di Dahl andavano opportunamente modificate. Fu così che si arrivò all’idea degli inquietanti minion arancioni con i capelli verdi, il cui interprete più conosciuto – Rusty Goffe – abbiamo poi successivamente rivisto in blockbuster come Star Wars: Una Nuova Speranza e Harry Potter e i Doni della Morte.
Anche il titolo del libro (Charlie e la fabbrica di cioccolato) venne poi modificato in Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato proprio per evitare ulteriori polemiche sulla discriminazione razziale, dato che ‘Mister Charlie’ è l’espressione con cui gli schiavi neri indicavano tradizionalmente il padrone bianco.
Dietro a tanta attenzione al politicamente corretto non c’è però solo un’espressa volontà politica del regista, ma anche la necessità da parte dei produttori di tenersi lontani da ulteriori polemiche. A finanziare con la modestissima somma di 8 milioni di dollari il film, infatti, fu la Quaker Oats, marca di cereali e dolciumi che proprio in quegli anni era al centro di infuocate polemiche per via del messaggio razzista veicolato dal proprio brand Aunt Jemima.
LE SCENOGRAFIE COMMESTIBILI E LO STUPORE REALISTICO
Mel Stuart si deve certamente esser divertito molto in scena: nonostante la chocolate room sia mostrata all’inizio del film, non fu permesso di vederla a nessun attore se non al momento di girare le scene lì ambientate. Infatti ogni elemento della scenografia era realmente commestibile, e Stuart voleva che lo stupore che si legge sui volti degli interpreti al momento della loro entrata nella stanza fosse assolutamente reale e genuino.
Discorso simile vale per la scena in cui Willy Wonka, nel proprio ufficio, si scaglia contro Charlie e Nonno Joe urlando. Gli interpreti Peter Ostrum e Jack Albertson non erano stati messi a conoscenza di quella parte di copione, ed è per questo che l’aria sorpresa che si manifesta sui loro volti è tanto autentica.
Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato è stato in grado, anno dopo anno, di insinuarsi tanto nei cuori degli spettatori da diventare un tassello indispensabile nel nostro immaginario filmico collettivo. La sua forza iconica è diventata una costante della cultura pop, portando a una moltitudine di citazioni (basti pensare a quante ve ne siano ne I Simpson), e non è stata adombrata nemmeno dall’adattamento realizzato nel 2005 da Tim Burton, così come il Wonka di Johnny Depp non ha minimamente scalfito il ricordo della straordinaria interpretazione di Wilder. E poi, nonostante la performance di Depp fosse costruita ispirandosi a Michael Jackson, resta molto più preoccupante e ambigua la reticenza adoperata nella pellicola del 1971, in cui non si vedono i bambini perdenti abbandonare la fabbrica ma, anzi, viene suggerita per loro una sorte tutt’altro che rassicurante.
Saranno pure passati 45 anni, ma Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato rimane un perfetto promemoria di quanto la “pura immaginazione” possa essere al contempo stupefacente e spaventosa.