Thomas Lilti è un personaggio decisamente sui generis, che nonostante un’avviata carriera di regista e sceneggiatore, continua a esercitare la propria professione di medico di famiglia. La sua irrinunciabile passione per la professione medica traspare anche dalle sue pellicole, tanto che dopo il buon Hippocrate (2o14) Lilti decide di tornare sul tema con Il Medico di Campagna, dal 22 dicembre nelle nostre sale grazie a Lucky Red.
Lo sguardo del cineasta francese si concentra stavolta, com’è facile dedurre da un titolo perfettamente esplicativo, sull’attività di un medico della mutua che copre una zona rurale.
Il dott. Jean-Pierre Werner (François Cluzet) è un uomo all’antica: garbato e affidabile, si è sempre preso cura con grande abnegazione e pazienza di una comunità sparsa tra paesini, campi e fattorie. Ora che viene chiamata ad affiancarlo una dottoressa di città – l’attraente Marianne Denicourt –, in virtù dell’affetto ricambiato che lo lega a quel tessuto sociale, il protagonista è geloso e protettivo nei confronti dei propri amati mutuati. L’affiancamento si rende necessario perché a Werner, che nonostante sia un medico fa di tutto per sminuire e non darlo a vedere, viene diagnosticato un grave tumore al cervello che ne compromette seriamente l’operatività. Durante lo svolgimento del film non sappiamo se il destino del protagonista sarà la morte o la guarigione, ma quel che intuiamo è che con quella dottoressa si svilupperà un’attrazione reciproca, evidente a dispetto della determinata volontà dei due di ignorarla.
Il film di Lilti non si concede facilmente, e anziché calcare la mano con le emozioni legate al dramma della malattia, predilige un racconto fatto di piccole cose: le mansioni di un medico della mutua che preferisce ignorare la sua salute e occuparsi di quella dei propri pazienti. Una scelta tanto minimalista potrebbe lasciare uno strano sapore di insoddisfazione nella bocca di molti, ma in realtà è il vero pregio di una pellicola che si racconta nel non detto, che ci obbliga a leggere tra le righe. Sarebbe stato molto più semplice creare una drammaturgia sfruttando più apertamente la crisi di un protagonista dinnanzi allo spettro della morte o una possibile storia d’amore in un contesto problematico, ma quel che interessa al regista è l’amorosa devozione che anima i migliori medici, quelli che pur senza ambizioni di carriera si dedicano in modo totalizzante a chi ha bisogno di loro. Il Medico di Campagna è un racconto su un’etica pulita che, proprio perché piuttosto rara da trovare, merita uno spazio sul grande schermo. Sussurrato, in punta di piedi, ma importante.
È quasi superfluo sottolineare la bravura di Cluzet, che il grande pubblico ricorderà soprattutto per Quasi Amici ma che in realtà ha sempre dimostrato il proprio indiscutibile talento in una filmografia ben più varia. È ‘in parte’ anche la Denicourt, anche se qualche obiezione su potrebbe fare al casting, che per rendere più convenzionale il racconto avrebbe potuto optare per un’attrice i cui interventi di chirurgia estetica siano meno evidenti.
In conclusione il film di Lilti è un racconto a tinte tenui e dai colori caldi, che non vuole stupire con effetti speciali ma sembra piuttosto un delicato acquerello che ritrae un medico in visita a una fattoria. In un’epoca di emozioni forti e colpi di scena estremi, ben venga questo tipo di sensibilità, che ci accompagna con calma fino a un finale che fornisce la vera chiave di lettura della pellicola.
Il Medico di Campagna: la recensione in anteprima (no spoiler)
Dalla Francia arriva un racconto in punta di piedi del rapporto tra un medico di famiglia e la propria comunità di amati pazienti.