Nonostante il primo trailer, con una scelta di marketing decisamente inusuale, sia stato diffuso a ridosso della pubblicazione della serie sulla piattaforma Netflix, ci avevano avvisato con largo anticipo che The OA sarebbe stato un prodotto fuori dagli schemi, che avrebbe cercato in tutti i modi di segnare un definitivo passaggio verso il futuro, rendendo del tutto sfocati e non visibili gli stilemi che regolano da sempre i vari generi narrativi. Creata da Brit Marling (che interpreta anche il ruolo della protagonista) e Zal Batmanglij (che ne è anche il regista) The OA narra le vicende di Prairie Johnson, ragazza scomparsa che riappare dopo sette anni. Questo è l’incipit (neanche troppo originale) da cui prende spunto una sarabanda di eventi e situazioni che porteranno lo spettatore a vedere di tutto e di più. Lo script si snoda dal thriller all’azione, dal melodramma alla fantascienza, costringendo la nostra mente ad assestarsi di continuo su nuovi ed improvvisi cambi di scenario, su azioni dei protagonisti che ritenevamo impossibili fino a pochi minuti prima. Il pensiero vola al cinema di M. Night Shyamalan e alla sua capacità di rovesciare completamente il senso di un’opera in un istante, nel saper letteralmente togliere il terreno da sotto i piedi allo spettatore. L’effetto di costante straniamento funziona alla grande e The OA ci investe di un immaginario lirico e favoloso (e qui si fanno forti i richiami al contradditorio The Fountain di Aronofski) che rendono partecipe lo spettatore di un universo immaginifico di immediata bellezza. Fin qui tutto bene, ma con il voler alzare costantemente la posta in palio, il voler rendere sempre tutto “più strano”, la serie perde ben presto la sua spinta propulsiva, facendo scivolare la visione in sorta di stallo in cui emergono nette le carenza di sceneggiatura, che appare come una maglia sfilacciata in cui iniziano ad emergere i primi buchi. The OA è un grande esperimento, è il calderone di un moderno alchimista che cerca di ottenere l’oro mescolando gli ingredienti che a sua disposizione; il risultato è sicuramente qualcosa di prezioso ma non il metallo giallo. La tendenza odierna di creare serie tv in cui la sospensione del vero genera tensione (Stranger Things docet) è una pericolosa arma a doppio taglio, perché se da un lato consente di creare suspense in ogni istante, dall’altro rischia di far scivolare la storia in una sorta di dejà vu trito e ritrito che di hype ne suscita veramente poco. In ballo per una seconda stagione, The OA è un esperimento riuscito a metà, meritevole sicuramente di una visione, non fosse altro per l’audacia che mette in campo e per la voglia di spingere le serie tv ancora un passo in avanti. Ed è cosa risaputa però che i terreni non conosciuti sono forieri di passi falsi.
SPOILER: Ma quindi come finisce The OA? Sul web impazzano le spiegazioni più disparate sulla ‘conclusione’ di questa serie, ma la realtà è che non può essere fornita una prova certa di ciò che accade nell’ultimo episodio. “Penso che ci sia qualcosa di veramente delizioso nel mistero di mettere in discussione la verità del cantastorie” ha detto la Marling, e in queste parole giace ogni eventuale spiegazione. Perché si creda o meno alla veridicità del racconto di Prairie la sequenza finale lascia spazio sia alla spiegazione razionale sia a quella dell’intervento divino. Resta in piedi (anche al netto dei numerosi indizi disseminati tra le due serie) la possibilità che l’universo di OA e quello di Stranger Things possano far parte della stesso continuum spazio-temporale, ponendo le basi per un futuro crossover che manderebbe completamente in brodo di giuggiole ogni nerd che si rispetti. Chi vivrà vedrà.