La rete americana basic cable History (più famosa come The History Channel), specializzata da sempre in documentari e in show di intrattenimento come Affari Di Famiglia (in onda anche su Cielo), da qualche anno è entrata pure nel campo della produzione di serie originali grazie a Vikings. Il grande successo ottenuto dalla saga che vede come protagonista Ragnar Lothbrok ha persuaso i vertici del network a continuare in questa direzione ed è per questo motivo che è venuto alla luce Six, un nuovo ambizioso progetto concepito come una limited series da otto episodi.
La miniserie racconta la storia di un’unità SEAL impegnata nella lotta contro il terrorismo.
Il team Six, guidato da Richard “Rip” Taggart (Walton Goggins), si trova in missione in Afghanistan per dare la caccia ad un leader talebano in fuga ma, in un modo o nell’altro, i soldati non riescono a catturarlo (compiendo inoltre soprusi nei confronti dei collaborazionisti). Da qui abbiamo un salto temporale di due anni e Rip, divenuto nel frattempo un mercenario, viene preso in ostaggio in Africa assieme ad una scolaresca durante un attacco di Boko Haram (un pericoloso gruppo terroristico islamico), costringendo in questo modo i suoi ex commilitoni Caulder (Kyle Schmid), Buddha (Juan Pablo Roba) e Bear (Barry Sloane) a ritornare in missione per recuperare e riportare a casa sano e salvo il vecchio leader.
Six cerca di replicare (senza grande successo) la formula che HBO utilizzò diversi anni fa per Generation Kill.
Il pilot diretto dall’esperta regista televisiva Lesli Linka Glatter (che ha lavorato in grandi serie come Twin Peaks, Mad Men e Homeland) fa subito intuire l’approccio utilizzato dagli showrunner David Broyles e William Broyles (sceneggiatore di film hollywoodiani come Apollo 13, Entrapment e Il Pianeta delle scimmie di Tim Burton), che ricorda molto la grande miniserie HBO Generation Kill, creata da David Simon nel 2008: entrambe infatti si focalizzano sulle vicende di un gruppo di soldati impegnati in zone di guerre (la limited series di Simon è ambientato in Iraq); se però in Generation Kill era il realismo l’elemento preponderante, nella scrittura dei personaggi e nella ricostruzione degli avvenimenti, in Six il punto di vista è molto più ruffiano perché è vero che il contesto è assolutamente verosimile (parliamo sempre di un prodotto targato History) ma i nostri soldati non lo sono affatto, imprigionati nello stereotipo dei classici uomini “che non devono chiedere mai” tipico delle produzioni americane meno raffinate. Non fa eccezione neanche il character potenzialmente più interessante dello show, interpretato da Walton Goggins (The Shield, Justified e The Hateful Eight), troppo legato alla figura dell’antieroe che lotta contro i demoni del passato vista e rivista nella televisione degli ultimi anni: è un peccato vedere un attore carismatico come lui sprecato in un ruolo del genere. Sia chiaro, la miniserie è confezionata benissimo (come produttori figurano anche i fratelli Weinstein) e la puntata scorre benissimo, ma è la sua totale mancanza di originalità che ne abbassa il livello qualitativo e, con l’offerta televisiva di oggi, anche una buona produzione come Six (costata 10 milioni di dollari) finisce per essere oscurata da serie molto più costose ed interessanti.
È ancora troppo presto per dare un giudizio definitivo ma, se il buongiorno si vede dal mattino, è difficile che Six riuscirà nei prossimi episodi ad uscire dalle sabbie mobili del dejà vu.