Il 2016 è stato per il cinema francese un anno record, in cui gli incassi in sala hanno registrato un +4% e sono stati tra i più alti degli ultimi 50 anni. Anonima Cinefili approfitta dello spunto offerto dai dati del Centre National du Cinema per proporvi per qualche giorno un focus su quelle pellicole che negli ultimi anni si sono distinte oltralpe ma delle quali probabilmente non avete sentito parlare.
Cédric (Thomas Blanchard) è un trentenne che vive ancora in famiglia insieme alla madre (Nathalie Baye) e al padre (Arno Hintjens). Il ragazzo ha un carattere difficile, introverso, imprevedibile, con tratti psicotici probabilmente sviluppati negli anni per poter rispondere al ruolo di “disadattato” affibbiatogli in casa. I suoi comportamenti, così come il suo fisico, sembrano essersi fermati all’adolescenza. Cédric ha una sorella e un fratello, Caroline (Ariane Labed) sposata con Gaetan (Eric Caravaca) e Laurent (Julien Baumgartner) sposato con Cyrielle (Cathy Min Jung) da cui è nato Nathan, il suo nipotino; per entrambi Cédric è un corpo estraneo. Durante una cena in cui tutta la famiglia è riunita Caroline annuncia pubblicamente di essere incinta. Una notizia che, come è naturale, è accolta con grande entusiasmo e grandi gesti di compiacimento e di affetto da tutti, ma non da Cédric, che da quel momento in poi, al contrario, inizierà un’escalation di domande impertinenti, di piccole e grandi provocazioni e di richiesta di attenzioni rivolte ad ogni membro della sua famiglia, compreso il piccolo Nathan. Dopo un iniziale sbigottimento controllato, in cui probabilmente ogni singola persona seduta a tavola aspettava che passasse un momento “difficile” del ragazzo a cui erano abituati, la situazione comincia a degenerare e Cédric tira fuori violentemente tutto il suo risentimento verso la famiglia, colpevole di averlo relegato nell’angusto territorio del pregiudizio, dell’incomprensione, della solitudine, dell’isolamento. Solo il padre tenta timidamente di gettare piccoli ponti verso il figlio per tentare di recuperare le ragioni di un dialogo ma si rivelerà ben presto una figura periferica e ininfluente. Sarà invece la madre a prendere in mano la situazione, a delineare ed imporre pian piano la sua potente personalità e la sua autorevolezza ma soprattutto a lasciare lo spettatore alle prese con un grande punto interrogativo, meditando sul confine tra forza e fragilità.
Préjudice, pellicola belga in lingua francese, non è un film da guardare a cuor leggero. È un film duro, spigoloso, disturbante. Antoine Cuypers, alla sua prima regia in un lungometraggio, precedentemente si era occupato di scrivere sceneggiature, per lo più di cortometraggi. Della sua vocazione e della sua padronanza di scrittura se ne avvantaggia appieno la pellicola che, per descrizione dei personaggi e soprattutto per le dinamiche li attraversano, potrebbe essere un piccolo trattato di psicologia relazionale e familiare portato sul grande schermo. Dal punto di vista strettamente cinematografico il grande merito della regia è quello di indirizzarci contemporaneamente su quattro binari paralleli: la descrizione dei singoli personaggi, la loro collocazione all’interno del gruppo-famiglia, l’evoluzione della relazione di ognuno con tutti gli altri e il “risultato” finale, ovvero il “mondo” che si produce nel nucleo familiare. Ma se per Cuypers sceneggiatore era probabilmente più facile tessere la trama di questo mosaico così complesso, il capolavoro vero e proprio lo ha fatto il Cuypers regista che ha riprodotto tutte le tinte usando il pennello. Préjudice è un dramma familiare girato come fosse un thriller e a tratti un vero e proprio horror, forse perché i legami di sangue a volte possono spingere gli umani direttamente all’Inferno. Il contrappunto tra primi piani e il contesto danno continuamente la sensazione del sospeso, di eventi in evoluzione, di qualcosa che sta per accadere ma che non sempre è prevedibile. Così come l’uso delle dissolvenze in momenti significativi e delle musiche che incalzano con suoni puliti, ordinati e logici ma che, combinate con le azioni dello schermo, sembrano tambureggianti, suscitano aspettative, inquietano. La contrapposizione della colonna sonora con lo Jiodel, il tipico gorgheggio dei canti tirolesi, di cui Cédric è appassionato, sono un piccolo colpo di genio che caratterizza la storia nel suo complesso. Nulla da dire dal punto di vista interpretativo ma su tutti va sottolineata la grandissima prova di Nathalie Baye, la madre di Cédric, che riesce a dare al suo personaggio tutti i colori necessari per suscitare emozioni così forti e così profonde negli spettatori, i quali sicuramente non si tratterranno dal condannarla o dall’assolverla, a seconda dei punti di vista. La Baye ha lavorato moltissimo tanto nel cinema (tra i protagonisti anche nell’ultimo film di Xavier Dolan, il capolavoro È solo la fine del mondo) quanto nel teatro e guardando Préjudice si capisce il perché. È fondamentalmente grazie a lei che la pellicola di Antoine Cuypers, pur essendo angosciante, a tratti pietrificante, cattura lo spettatore e lo accompagna vorticosamente fino alla fine.