Dalla prolifica fucina Netflix arriva Designated Survivor, serie ideata da Davis Guggenheim (noto principalmente per il documentario ambientalista premiato con l’Oscar nel 2006 Una scomoda verità e già regista tra l’altro di alcuni episodi di 24 ed Alias) e che vede come protagonista Kiefer Sutherland, anche co-produttore della serie.
La storia parte con il piede sull’acceleratore. Il palcoscenico è Washington e la scenografia è dominata dalla White House, dove si muove un microcosmo ipercinetico.
In questo formicaio, Tom Kirkman è un uomo mansueto, parte integrante dell’ingranaggio politico, che vivendo ai margini dei riflettori passeggia in modo quasi sonnacchioso tra i salotti del potere. Tuttavia un evento imprevedibile lo catapulta in prima linea, stravolgendo la sua vita e quella della sua famiglia, obbligandolo a vivere un susseguirsi di colpi di scena ed una sua quasi involontaria trasformazione personale. Ad accompagnare la vicenda le vite di altre pedine, ben messe sulla scacchiera: alcuni collaboratori più stretti, i vertici dell’Esercito, Agenti dell’FBI, Intellicence, gli immancabili cattivi e chi più ne ha più ne metta.
Nel corso dei 10 episodi della prima mid season (a conti fatti discretamente godibile) sicuramente balzano agli occhi alcune lacune, sia narrative sia di ambientazione.
In primis ci risulta abbastanza irrealistico pensare ad una successione così arrembante di eventi; ovvio che la partenza a tutto gas obblighi a mantenere alto il tenore del racconto, tuttavia ci sono apparsi dosati con eccessiva enfasi (il tema razziale, lo spionaggio, l’incoerenza di alcune venature dell’establishment USA) quasi a voler dopare la storia ed evitare momenti di approfondimento dei personaggi, fatti scivolare senza particolare sentimento.
Altro aspetto discutibile è la prospettiva claustrofobica imperante. La serie vive quasi interamente di interni, di corridoi, di uffici, di bunker, di celle, di ambienti comunque angusti, sicuramente più comodi per la produzione ma capaci di rendere nel totale allo spettatore una sensazione quasi opprimente.
Infine una nota particolarmente rilevante in relazione al doppiaggio. Se i protagonisti principali godono di una “copertura” adeguata, alcuni personaggi secondari subiscono un trattamento in alcuni casi imbarazzante. Su tutti la deputata Kimble Hookstraten, interpretata da Virginia Madsen (che non sarà Meryl Streep ma in lingua originale dimostra di saper esprimere cambi di tono e soprattutto non possiamo non ricordare per quella splendida meteora che fu Sideways, che le valse niente di meno che un Oscar); ecco, in questo caso ci sentiamo di consigliare una scelta attenta di chi debba comunque riportare al meglio i dialoghi, andando ad incidere in modo importante sul pathos narrativo. Nei fatti, i dialoghi di questo personaggio risultano in forte distonia con il resto delle fila.
Ciò detto, la storia scivola, sobbalza su alcuni cambi di ritmo poco azzeccati, ma questo ci pare sia legato proprio alla scelta a monte di privilegiare l’insieme e non le vicende dei singoli, riprodotte quasi come evitabili, se non nel caso della coppia protagonista.
Proprio la famiglia (assieme all’immigrazione e al ricatto) risulta l’ingrediente principale della vicenda, con diverse prospettive e sottolineature.
In questo recinto si muove con sicurezza assoluta il buon Kiefer, navigato, magro (magrissimo!) e sornione, con le sue brave rughe d’espressione, eredità da mantenere stretta dopo alcuni bagliori di buon cinema (da Le mille luci di New York a Il momento di uccidere e poco più), senza dubbio più noto al grande pubblico per 24, la serie della Fox andata in onda per oltre un decennio.
La first lady è la brava Natascha McElhone, che ricordiamo soprattutto per The Truman Show, divisa tra il ruolo di chioccia entro le mura della Casa Bianca e la sottile ambizione di dire sempre la sua sui divani della stanza ovale.
Ci sentiamo di “non sconsigliare” questa metà di prima stagione, dove la cospirazione domina e azzera qualsiasi altro sentimento, lasciando allo spettatore la sensazione che ci sia una buona dose di patriottismo a motivare il messaggio finale: qualsiasi americano di buoni sentimenti potrebbe essere al comando della nazione…basta che lo aiuti il buon Dio. Lo show, da noi disponibile su Netflix, riprenderà su ABC l’8 marzo con l’undicesimo episodio della prima stagione.
Designated Survivor: la recensione (no spoiler)
Cosa ne pensiamo della prima metà di stagione della serie sulla presidenza degli Stati Uniti con Kiefer Sutherland, disponibile su Netflix.