Quando fece il suo debutto nel 2014, The Affair rappresentò una ventata d’aria fresca nel panorama seriale statunitense e non: la serie di Showtime infatti ha portato per la prima volta in televisione uno storytelling non lineare basato esclusivamente sul punto di vista dei protagonisti della vicenda, che sono a tutti gli effetti, attraverso i loro ricordi, le loro fantasie, le loro omissioni e le loro bugie, i veri narratori dello show (un pò come, inizialmente, ha fatto la prima stagione di True Detective, dove sono gli interrogatori di Rust Cohle e Marty Hart a tracciare la storia); in pratica, è come prendere Scene da un Matrimonio di Ingmar Bergman (che ha ispirato moltissimo gli autori della serie) e raccontarlo con lo stesso espediente narrativo, quello dei flashback, utilizzato dal capolavoro di Akira Kurosawa Rashomon per illustrare la versione dei fatti dei vari personaggi. Ovviamente lo show creato da Sarah Treem e Hagai Levi non si avvicina minimamente a questi due giganti della cinematografia mondiale ma la prima stagione fu un successo di pubblico e di critica, vincendo nel 2015 perfino il Golden Globe per la miglior serie drammatica (vinto pure dalla protagonista femminile Ruth Wilson); anche la seconda annata, seppur non all’altezza della prima, è stata molto valida per la capacità della Treem (che ha lavorato in serie importanti come In Treatment e House Of Cards) di cambiare un pò le carte in tavola, aggiungendo ulteriori punti di vista e puntando molto di più sul lato crime (nonostante alcune cadute di stile in salsa Harmony). Le aspettative per questa terza stagione quindi erano molto alte ma The Affair comincia a mostrare la corda, deludendo molti dei suoi fan della prima ora. Vediamo perché.
In quest’annata il vero, grande protagonista della serie è indubbiamente Noah.
Con un salto temporale in avanti di qualche anno, vediamo come Noah (Dominic West) ritorni alla vita di tutti i giorni dopo aver scontato interamente la pena per l’omicidio di Scott Lockhart, nonostante sia stata la ex moglie di Noah, Helen (Maura Tierney), a compiere il delitto; la donna è ovviamente riconoscente nei confronti dell’ex marito (e prova ancora qualcosa per lui malgrado tutto quello che è successo) ma Noah deve fare i conti con dei gravi disturbi causati dallo stress post-traumatico che gli causano delle terribili allucinazioni, anche se con l’aiuto della professoressa Juliette Le Galle (Irène Jacob) riuscirà a non cadere nel baratro della pazzia. Intanto a Montauk Alison (Ruth Wilson) instaura una battaglia legale contro l’ex marito Cole (Joshua Jackson) per l’affidamento congiunto della figlia Joanie (che lei ha abbandonato qualche tempo prima per il riacutizzarsi della sua depressione) ma l’uomo, che è ancora molto legato alla sua vecchia compagna, non si mette di traverso e la questione si risolve nel migliore dei modi, permettendo ai due di riavvicinarsi a scapito dell’attuale compagna di Cole, Luisa (Catalina Sandino Moreno).
Sarah Treem ha provato a rimettere di nuovo in discussione lo show con un approccio più dark e psicologico (riuscendoci però solo in parte).
Partiamo dalla cosa migliore vista in questa stagione ovvero la “riabilitazione”, da parte degli autori, di Noah: il personaggio interpretato splendidamente da Dominic West è sempre stato dipinto come il “cattivo” del quartetto protagonista della vicenda, un uomo colto e benestante che, in preda a una crisi di mezza età, cerca l’avventura sentimentale con una donna più giovane di lui (come Alison) piena di problemi, scatenando così la valanga che cambierà per sempre le loro esistenze; ebbene, la prigione ci consegna una persona nuova, letteralmente distrutta dall’esperienza ma disposta a fare mea culpa sugli errori commessi in passato. Oltre che combattere i disturbi psichici causati dalla detenzione (che gli fanno credere di essere vittima del suo carceriere, interpretato da un inquietante Brendan Fraser), riemergerà nel corso degli episodi la sua tragica giovinezza mettendo del tutto a fuoco la relazione con Helen, character meno positivo di quanto si possa pensare. Peccato però che Noah rubi la scena a tutti gli altri personaggi, grave errore per una serie così corale come The Affair: le vicende di Alison e Cole passano in secondo piano rispetto a tutto il resto e la new entry di quest’anno, la professoressa impersonata da Irène Jacob (miglior attrice nel 1991 a Cannes con La Doppia Vita di Veronica di Kieslowski) è un personaggio potenzialmente interessante il cui sviluppo non è però particolarmente funzionale per lo show. Continuano inoltre ad emergere i difetti cronici visti già lo scorso anno, come per esempio alcune derive soapoperistiche che stonano pesantemente con l’atmosfera creata (ma ormai le scene di sesso, anche gratuite, sono una garanzia su Showtime), l’eccessiva superficialità del plot in alcuni punti fondamentali e una gestione del ritmo non sempre ottimale.
Anche il season finale ha lasciato un pò l’amaro in bocca perché è vero che la scelta di concludere con un episodio completamente anticlimatico è stata molto coraggiosa ma lascia troppe cose in sospeso e questo denota, purtroppo, una carenza di idee da parte del team degli autori, costretti a gestire un impianto narrativo che di anno in anno perde sempre più mordente; la Treem sa benissimo che la sua creatura sta giungendo alla fine del suo percorso, non a caso ha dichiarato che la quarta stagione sarà, molto probabilmente, l’ultima. Già rinnovata dal canale via cavo, ci auguriamo che il prossimo anno The Affair possa tornare ai fasti che l’hanno resa, pur con le sue criticità, una serie di peso nell’universo sempre più vasto della televisione americana.