Cosa accadrebbe se la cordiale mamma di una famiglia felice scoprisse da un giorno all’altro di esser diventata una zombie? Questa l’esilarante premessa di Santa Clarita Diet, la nuova horror-comedy con cui Netflix prova declinare in modo innovativo la grande libertà editoriale tipica delle sue produzioni. Il soggetto è irresistibile e le aspettative verso la serie erano piuttosto alte; sia per il ritorno nel ruolo di protagonista di Drew Barrymore, disoccupata da anni ad Hollywood ma ancora perfettamente spendibile in un contesto televisivo, sia per lo showrunner dietro il progetto: quel Victor Fresco che si era distinto nella writers’ room dell’esilarante My Name Is Earl e che poi aveva tentato un ritorno in grande stile col brillante ma migliorabile Better Off Ted, cassato dopo una sola stagione.
In realtà Santa Clarita Diet è un esperimento riuscito a metà, perché se le straordinarie potenzialità e la grande freschezza del progetto portano a un bingewatching scorrevolissimo, d’altro canto un’eccessiva incertezza nel tono e una scrittura non all’altezza tarpano le ali al prodotto.
Alcuni dei (poco originali) commenti musicali e il setting suburbano residenziale potrebbero rimandare all’amato Desperate Housewives, ma in realtà i punti di riferimento di Fresco sono altri e piuttosto evidenti, e spaziano dal divertente orrore che si nascondeva dietro le perfette vite di The Stepford Wives (2004) al ben più oscuro mix di solarità e violenza di Dexter, passando per gli zombie socialmente integrati di Fido (2006).
La prima puntata riassume benissimo le caratteristiche principali dell’intera serie, dal momento che si tratta di un susseguirsi di eventi in parte irrilevanti – che probabilmente vorrebbero restituirci la normalità bramata dai protagonisti – inframezzati da gag scialbe e tutt’altro che divertenti e momenti gore che sfociano nel trash. Un mix che nelle scene splatter, rarissime ma decisamente estreme, ci ricorda tutta la libertà creativa concessa dal web service di Los Gatos, ma che al contempo non basta per rendere accattivante una sceneggiatura dal carattere erratico, che nel corso dei 10 episodi non dimostra mai un equilibrio o una visione d’insieme e a tratti, pur nella sua estrema semplicità, sembra sfuggire al controllo dello showrunner nella gestione dei tempi e dell’intreccio.
La vera pecca di Santa Clarita Diet risiede però nell’assenza di personaggi interessanti e in una normalizzazione che appiattisce e banalizza ogni contrasto narrativo.
La figlia della protagonista reagisce anche ai peggiori degli eventi con inspiegabile (e noiosa) normalità, il marito è un character di un’insignificanza disarmante e i vicini, dal poliziotto al nerd, sono stereotipati oltre i limiti accettabili. Addirittura il personaggio della protagonista, una mamma zombie, riesce ad avere un carisma modesto, e così le dinamiche tra i personaggi risultano sostanzialmente prive di interesse e di conseguenze sulla storia, depotenziando ogni intento comico. Inoltre, ogni qual volta arrivi uno dei rari momenti in cui si cerca la risata dello spettatore, un commento musicale e un immediato rallentamento di ritmo cercano di sottolinearla (ammazzandola), con un effetto che va in direzione opposta alla frenetica scrittura brillante delle comedy televisive degli ultimi anni e che addirittura ha uno stantio sapore di anni ’90.
Nonostante i molti difetti, il materiale per una storia esilarante e interessante non manca e c’è da sperare che un’eventuale seconda stagione possa darci lo show che meriteremmo.
Se anche la produzione di Netflix si impegnasse per correggere il tiro, rimarrebbe però un problema apparentemente insormontabile: il coprotagonista. Timothy Olyphant è infatti una scelta di casting sconcertante, dal momento che, pur essendo da sempre perfettamente a suo agio in contesti action-adventure, non ha la più pallida idea di come gestire una commedia. L’attore infatti si limita a gigioneggiare senza mai suscitare un minimo di empatia nello spettatore, e a tratti sembra ritrovarsi sul set per puro caso, offrendo una performance distratta e una pessima chimica con la Barrymore.
In conclusione Santa Clarita Diet rimane un prodotto dal soggetto interessantissimo, con un’ottima protagonista e che scorre piacevolmente (se non vi turba vedere un po’ di budella ogni tanto), ma Fresco si è dimostrato per lo show una guida e un autore a dir poco deludente, e la presenza di Olyphant trascina il tutto verso il basso. Sarà la seconda stagione – ammesso che arrivi – a farci capire se riusciranno a non mandar definitivamente perduta questa grande opportunità, per ora mancata.