Nel 1945 alla fine della Seconda guerra mondiale le forze alleate che sconfissero la Germania deportarono migliaia di soldati dell’esercito nazista per impiegarli in servizi tesi a riparare i danni che aveva subito il territorio durante la guerra. In Danimarca vennero utilizzati circa duemila soldati tedeschi per sminare la costa. Si calcola che furono disinnescate oltre un milione di mine.
Da questa vicenda storica nasce Land of mine – Sotto la sabbia, la pellicola di Martin Zandvliet, regista danese dal cognome impronunciabile ma dal talento chiaro e cristallino, almeno a giudicare da questo suo lungometraggio d’esordio subito nominato agli Oscar 2017 nella categoria dei miglior film stranieri. Nel contesto della grande storia, quello portato sul grande schermo da Zandvliet è un episodio realmente avvenuto e, prima della pellicola, poco conosciuto in Danimarca, dove quattordici giovani soldati tedeschi furono chiamati a sminare un lungo tratto di spiaggia agli ordini del sergente Rasmussen (Roland Muller), classico sergente di ferro dai modi spicci e accecato dall’odio verso il “nemico”. Con i tamburi di guerra ancora nelle orecchie le proporzioni dei rapporti sono ancora fortemente alterate e i tedeschi vengono utilizzati come vera e propria “carne da macello” per rendere sicuro quel tratto di costa. In realtà sono quattordici ragazzi poco più che adolescenti che sognano solo di chiudere un doloroso capitolo che li ha strappati controvoglia da una vita normale fratta di quotidianità, non hanno ambizioni guerrafondaie né motivazioni ideologiche e “quando hanno paura invocano la mamma”. Molti di loro esploderanno sopra le mine ma nessuno, il sergente Rasmussen per primo, avrà il benché minimo scrupolo o rimorso. Fino a quando salveranno una bambina che, sfuggita allo sguardo della madre, si trova a giocare proprio su quel tratto di spiaggia.
Lo sguardo del regista danese è impietoso quando descrive per immagini i corpi dei ragazzi dilaniati dalla mine, ma anche quando si sofferma sulle loro fragilità e quando percorre e sviluppa i rapporti trasversali di questa piccola e anomala comunità: il rapporto tra i soldati e il sergente e tra questi i suoi superiori. All’interno di questo realismo crudo, rude, duro, a volte macabro, fa da sfondo il paesaggio da favola del mare incastonato su spiagge dunose di sabbia bianca. Tuttavia non è un paesaggio che fa sognare, la macchina da presa di Martin Zandvliet non strizza l’occhio allo spettatore ma resta asettica, occupata quasi esclusivamente a dimostrare che sono i comportamenti umani a rendere attraenti o no perfino panorami mozzafiato. Molto del film gioca ripetutamente su questo contrasto che dà energia e vigore all’evolversi dei fatti. Una chiave di lettura sicuramente centrata dal regista danese, così come il ricorso ai primi piani che rendono giustizia e merito alle doti interpretative di Roland Muller e dei ragazzi che interpretano i soldati tedeschi, attori ancora sconosciuti al grande pubblico ma con significative potenzialità. Land of mine si guarda dall’inizio alla fine senza nessun calo di tensione, ogni sequenza è necessaria e ogni scena è costruita praticamente alla perfezione. Gran parte del merito va anche alla fotografia, davvero di livello superiore, e alla sceneggiatura curata dallo stesso Zandvliet.
Land of Mine – la recensione del film danese in corsa agli Oscar
Nel secondo dopoguerra dei soldati tedeschi vengono costretti a sminare un lungo tratto di costa danese. Candidato agli Oscar come miglior film straniero.