Il make-up and hair designer Alessandro Bertolazzi, insieme a Giorgio Gregoriani e a Christopher Nelson, ha appena ricevuto l’Oscar per il suo straordinario lavoro con il trucco e le acconciature di Suicide Squad, il cinecomic DC di David Ayer che, a dispetto di un’accoglienza tiepida da parte della critica, ha sbancato al botteghino e, ora, può anche fregiarsi di un Academy Award. Abbiamo intervistato in esclusiva per voi Alessandro Bertolazzi, per offrirvi uno sguardo approfondito e inedito dietro all’unica statuetta italiana di questa edizione degli Oscar, e sono emerse molte tematiche interessanti.
Alessandro, prima di quel Suicide Squad che ti è valso un Oscar, hai lavorato a una sterminata serie di pellicole importantissime (consigliamo ai nostri lettori di dare uno sguardo al tuo profilo IMDb). Come sei arrivato ad avere una carriera tanto importante?
La mia carriera non è iniziata con il make up cinematografico, bensì con il teatro: professionalmente ho mosso i miei primi passi come assistente scenografo di Emanuele Luzzatti. Poi, senza nemmeno rendermene conto, eccomi qui. All’inizio ovviamente non avrei mai immaginato di arrivare agli Oscar…
E, una volta imparato il mestiere, come hai iniziato col cinema?
Sai, è difficile rispondere. Non saprei individuare un momento che segna con precisione il debutto nel trucco cinematografico. All’inizio c’è stata qualche apparizione in piccoli progetti indipendenti, quindi qualche effetto speciale di trucco. Poi, una volta preso il via, i progetti sono diventati sempre più importanti e il mio percorso professionale si è evoluto da sé.
Quando è arrivata la prima chiamata d’ingresso al cinema internazionale?
Quando fai il tuo dovere e lavori bene, il tuo nome, film dopo film, inizia a girare e inizi a farti notare. Il primo lavoro internazionale è arrivato nel 2003 ed è stato La Setta dei Dannati (The Order) di Brian Helgeland, una coproduzione USA-Germania che vedeva Heath Ledger nei panni del protagonista.
Quanto è importante avere un agente per lavorare alle grandi produzioni?
Avere un agente è importante non solo per ampliare l’orizzonte dei propri contatti professionali ma anche e soprattutto per una questione di credibilità. È un ‘biglietto da visita’ fondamentale per accedere a produzioni importanti, non mi stancherò mai di ripeterlo.
Puoi spiegare a chi non conosce bene i vari ruoli, di cosa ti occupi di preciso sul set?
Sono un make-up and hair designer, e in quanto tale mi occupo di progettare e realizzare tecnicamente l’aspetto dei personaggi di una produzione cinematografica. Un altro compito molto importante legato al mio ruolo è quello di garantire che gli interpreti abbiano un aspetto sempre coerente in ogni scena del film, nonostante queste possano esser girate in tempi e circostanze diversi. La necessità di garantire una continuità durante le riprese è un aspetto spesso sottovalutato del mio lavoro.
Come hai reagito quando hai scoperto di aver ricevuto una nomination agli Oscar? Cosa hai provato?
È incredibile. Puoi lavorare anche alla più grande delle produzioni, ma la prima nomination è una cosa che nessuno si aspetta; ti coglie completamente di sorpresa. È una cosa troppo grande anche solo da immaginare! Ti garantisco che la gioia incontenibile che ho provato era proporzionale solo alla sorpresa di essere in corsa per l’Oscar.
Facciamo qualche passo indietro: come sei stato contattato per lavorare con David Ayer?
Suicide Squad non è stata la mia prima collaborazione con David Ayer; infatti fui contattato dal mio agente nel 2014, mentre mi trovavo a Los Angeles, per lavorare a Fury, il suo celebre war drama con Brad Pitt e Shia LeBeouf. Evidentemente l’esperienza è stata positiva e così la collaborazione è continuata con il cinecomic DC, che pur essendo un lavoro completamente diverso manteneva in parte quel feel ‘sporco’ da film di guerra.
A proposito di Suicide Squad: come è stato il processo creativo che ha portato al Joker che abbiamo visto nel film?
Innanzitutto ho studiato le precedenti incarnazioni del personaggio per non rischiare di farne un copia: era importante che questo Joker avesse una propria identità e che fosse adatto a un contesto narrativo diverso da quelli visti sino ad ora sul grande schermo. L’altra sfida ovviamente è stata quella di capire la natura profonda del celeberrimo villain e, conseguentemente, di rimanere fedeli ad essa pur trovando una strada nuova per raccontarla. Spero di essere riuscito nel mio intento; quel che è certo è che Jared è stato un interprete straordinario e ha portato tantissimo alla parte.
Pare che sul set Jared Leto fosse molto calato nel personaggio – troppo, a detta di alcuni. Com’era al trucco?
È risaputo che l’approccio di Jared Leto al personaggio del Joker è stato molto immersivo; molti hanno parlato di metodo Stanislavskij. Credo che però il suo method acting avesse conseguenze principalmente nelle interazioni con il resto del cast, per creare un clima che portasse poi a costruire qualcosa di vero e intenso davanti alla macchina da presa. Per quanto mi riguarda posso dire che ho sempre trovato Jared molto gentile ed estremamente collaborativo anche nei panni di Joker. Quando poi tornava Leto, il personaggio spariva del tutto.
Per quanto concerne Harley Quinn, quanto è cambiato il concept del personaggio durante la realizzazione?
Direi che i personaggio di Harley Quinn, durante la realizzazione, non è tanto cambiato quanto piuttosto si è evoluto. Anche in quel caso Margot Robbie ha portato tantissimo al carisma del personaggio, anche se effettivamente c’era un ‘problema’: era troppo bella! Per quanto cercassi di trasformala nella super-cattiva del film, il suo viso restava meraviglioso a prescindere da qualsiasi mio intervento. Alla fine però abbiamo trovato il giusto approccio, credo. Abbiamo avuto qualche piccolo problema con la parrucca: la qualità di quella inizialmente a nostra disposizione non era adeguata alle nostre esigenze, quindi abbiamo fatto in modo che ne venisse realizzata appositamente una che avesse le caratteristiche necessarie.
Ci sono nella tua carriera lavori di cui vai particolarmente orgoglioso?
Ovviamente Suicide Squad! Però, oltre al film di Ayer – che ovviamente per me ha un significato importante anche per il riconoscimento venuto dall’Academy – sono molti i lavori ai quali sono legato. Mi vengono in mente il make-up per Javier Bardem in Skyfall, quello di Naomi Watts in J. Edgar e quello di Monica Bellucci in Malena. In realtà però sono comunque legato a tutti i miei lavori: ognuno è stato a modo suo importante.
Raccontaci una tua giornata tipo sul set.
Ci si alza prestissimo – veramente molto presto – e, arrivati in location, si inizia col preparare gli attori. Poi si va sul set, dove iniziano le riprese e dopo circa 8 ore si fa un’ora di pausa (per noi sempre meno, perché dobbiamo ritoccare gli attori dopo pausa). Poi si ricomincia fino alla fine delle riprese; si strucca, si mette in ordine e si programma la giornata successiva organizzando e risolvendo eventuali problemi o cambiamenti. A fine giornata si ritorna a casa (albergo o residence), si cerca di dormire il più possibile e poi si ricomincia. La giornata tipo dura 15 ore al giorno per una media di 5 mesi.
Ci puoi anticipare qualcosa dei tuoi prossimi progetti?
In realtà, concluso il progetto cui sto lavorando ora, vorrei tornare un po’ a casa; a volte se ne sente il bisogno. Ma se arriva un’altra chiamata è sempre difficile dire di no!
Alessandro, ti ringraziamo della tua disponibilità e ti diciamo che come Italiani siamo orgogliosissimi del grande lavoro che stai facendo!
Grazie!