Nel I secolo dopo Cristo la Giudea, come gran parte del mondo, è occupata e governata dai Romani. I Romani confiscano ai Giudei tutto ciò che hanno e organizzano i Giochi per “guardare gli altri soffrire e fargli dimenticare tutto ciò che hanno perso”. Giuda Ben-Hur (Jack Huston, apprezzatissimo come cecchino sfigurato di Boardwalk Empire) e Messala (Toby Kebbell) vivono a Gerusalemme, l’uno è un principe giudeo, l’altro suo fratello adottivo e romano. I due crescono insieme, diventano inseparabili e amici per la pelle, “devoti e competitivi”. Ben-Hur mal sopporta l’occupazione romana e i soprusi perpetrati dall’Impero al suo popolo e, sebbene abbia un atteggiamento “illuminato” e moderato, esplode il disaccordo con Messala ormai deciso a riscattarsi dai vincoli familiari e ad arruolarsi con le milizie romane, cosa che farà con successo fino a ricoprire il ruolo di tribuno tra i più valorosi e spregiudicati di Gerusalemme. Sarà lui stesso ad arrestare Ben-Hur dopo un “attentato” ad opera del movimento zelota e a sottometterlo al rango di schiavo. L’ex principe dopo varie disavventure tornerà libero, ancorché clandestino, e sfiderà Messala nella famosa corsa delle bighe in cui ci sarà le resa dei conti tra i due.
La trama del Ben-Hur del regista russo-kazako Timur Bekmambetov è accennata solo per grandi linee perché già nota, avendo alle spalle il film del 1925 al quale collaborarono ben cinque registi, quello del 1959 di William Wyler che agli Oscar si aggiudicò la cifra record di dodici statuette, e il romanzo di Lew Wallace da cui tutti e tre traggono ispirazione. Nessuno si aspetti però una copia su carta carbone tra le opere citate. E infatti anche questo in 3D ha un svolgimento e perfino un finale diverso dagli altri, che ovviamente non sveleremo.
Ciò premesso, viene da sé che la pellicola di Bekmambetov è un remake fino a un certo punto. Va dato atto al regista di aver avuto una visione personale di un lavoro dove la gran quantità del materiale a disposizione e l’accostamento con le opere precedenti facevano sì che in ogni attimo si sarebbe corso il rischio di perdere la strada maestra e con essa il confronto. Resta tuttavia un mistero la scelta di doversi misurare con un film che ha fatto epoca, che ha fatto incetta di Oscar, che è rimasto nella memoria collettiva di intere generazioni e che, perfino con la “benedizione” delle gerarchie vaticane (che peraltro hanno “approvato” pure l’ultima versione), ha marcato una linea anche nell’epica della fede declinata nei suoi aspetti più nobili e meno nobili (l’uso del film per “propaganda religiosa”) e, detto per estensione, del dialogo interreligioso più o meno acceso e approfondito, più o meno vero o presunto. In questo Ben-Hur invece non c’è epica ed è forse proprio questo il limite maggiore del film: quello di essere fuori tempo e cinematograficamente sempre piuttosto orizzontale. Il filmmaker kazako era ben cosciente del rischio che avrebbe corso ed è probabilmente per questo che ha cercato di stare il più distante possibile dalla figura del Cristo, ma un po’ per la dimenticabile interpretazione del brasiliano Rodrigo Santoro (recentemente visto in Westworld) che lo impersonifica e un po’ per alternative non completamente all’altezza, ha lasciato che la sua pellicola si portasse dietro buchi e momenti stiracchiati e di stanca. Va però detto che questo risultato non propriamente esaltante va condiviso con la sceneggiatura di Jonh Ridley e Keith R. Clarke. Le interpretazioni sono buone ma complessivamente non memorabili, né riesce a farle diventare tali Morgan Freeman che da solo non può certo fare miracoli. Tuttavia le sequenze di Timur Bekmambetov non sono prive di bei momenti di cinema grazie anche alla grafica computerizzata, cosa di cui non potevano avvalersi i suoi predecessori. La battaglia navale girata dal punto di vista degli schiavi che remano nelle stive è davvero spettacolare, così come la classica corsa delle bighe nel finale. La pellicola pare sia costata 100milioni di dollari, un grande investimento produttivo che faticherà ad essere ammortizzato ma che si vede tutto, a cominciare dai costumi e dall’enorme lavoro fatto sui set, in particolare dalle ricostruzioni realizzate a Cinecittà fino agli allestimenti nei bellissimi luoghi della Puglia dove la splendida Matera si conferma luogo ideale per questi film di ambientazione, e a Gravina. Per un pizzico d’orgoglio nazionale segnaliamo anche le musiche di Marco Beltrami.
Il film ha anche il merito di proporre alle nuove generazioni un racconto antico ma con un linguaggio cinematografico al passo con i tempi, un racconto che, al di là di come la si pensi, vale la pena conoscere perché capace ancora di stimolare discussioni e riflessioni. Ora come allora si può ragionare, ad esempio, quanto siano attuali e condivisibili le parole di uno schiavo: “Se vuoi sopravvivere non devi guardare le nefandezze che hai intorno”.
L’edizione blu-ray non delude, con una resa video cristallina e vibrante, degna delle ambizioni del blockbuster. Le tracce audio sono quelle in lingua inglese, italiana (anche con descrizione audio), francese, spagnola, tedesca e giapponese, ma è il DTS-HD master audio originale in 7.1 canali a risultare semplicemente mozzafiato. L’offerta di contenuti speciali è generosissima, e comprende gli extra l’epico cast, una favola per i nostri tempi, la corsa delle bighe, una storia di Cristo e diverse scene estese o non finite nel montaggio finale.
In conclusione Ben Hur è una pellicola di genere che però riesce in qualche modo a stupire nonostante il celebre predecessore, e che offre un intrattenimento ottimamente confezionato, cui l’edizione home video rende giustizia.
Ben Hur arriva in home video: la recensione
Un'edizione ricchissima di contenuti speciali ci ripropone il remake firmato da Bekmambetov, che sorprendentemente riesce ad avere una propria identità.