Abbiamo visto il pilot di Snatch, la serie angloamericana ispirata all’omonimo film del 2000 di Guy Ritchie e in onda per il web service statunitense Crackle. Se quello che ci aspettiamo sono diamanti e Brad Pitt che ama i coni allora partiamo con il piede sbagliato. Infatti, prima di metterci sul divano a sentenziare che “era meglio il film” dobbiamo tenere bene a mente che non si tratta di un adattamento pedissequo ma di un lavoro che dal film prende ispirazione.
Così come nel film, anche in questo pilot ci sono boxe, scommesse, debiti, armi e una colonna sonora accattivante. Ma se questa serie avesse avuto un titolo diverso rispetto al film non credo che qualcuno avrebbe avuto da ridire. Chi ha amato il Frankie Quattro Dita (Benicio Del Toro) di Guy Ritchie potrebbe non affezionarsi immediatamente ai nuovi personaggi, così giovani e carini da risultare di dubbia credibilità nei panni di consumati criminali. Forse intitolare la serie Snatch e darle opening credits simili a quelli del film di Ritchie (così come molte scelte registiche e di montaggio) potrebbe illudere i nostalgici: dalla prima volta che abbiamo visto Snatch siamo più vecchi di 17 anni e trovare questi ragazzetti a raccontarci la loro avventura nella criminalità organizzata londinese rischia di essere un’esperienza un tantino deludente. L’unica soluzione per dare un giudizio obiettivo rimane quindi quella di far finta che i due Snatch non abbiano nulla a che fare l’uno con l’altro.
La prima puntata è costruita in maniera circolare: cominciamo con una maschera e terminiamo con una maschera, il che ci fa intuire che gli sceneggiatori devono averci ragionato almeno un po’. Le scelte di regia richiamano la regia di Ritchie, così come i giochi del montaggio e lo slow motion alternato al fast motion.
Albert Hill, il protagonista (interpretato da Luke Pasqualino, The Musketeers), è un ragazzo che cerca di rimanere a galla tra i grossi debiti che ha contratto, facendo da manager al suo amico pugile Billy “Fuckin” Ayers (Lucien Laviscount, Scream Queens) e vendendo alcolici di contrabbando insieme a Charlie Cavendish Scott (Rupert Grint, il migliore amico di Harry Potter). Insomma, Albert non è proprio uno stinco di santo ma non ha (ancora) affondato le mani nella Malavita con la M maiuscola.
Molte storyline si intrecciano alla principale, a partire dalle famiglie di Albert e Charlie. Non mancano anche un banco dei pegni, un locale di copertura, uno strozzino e qualche allibratore. E poi c’è l’uomo a cui Albert, presto o tardi, pesterà i piedi: Sonny Castillo, interpretato da Ed Westwick, che ricorda più il suo Chuck Bass di Gossip Girl che il temibile criminale che dovrebbe essere.
Dal punto di vista stilistico salta all’occhio la scelta, consapevole, di lasciare che i personaggi di tanto in tanto parlino da soli. In questo primo episodio a farlo sono Albert e Charlie, ma non escludiamo che accada anche ad altri, più avanti. Non parlano guardando in macchina, al pubblico, come Frank Undewood in House of Cards; semplicemente bofonchiano cose.
Un’altra scelta particolare è l’uso della tecnologia interna al racconto: si utilizzano gli smartphone, con cui vengono scattate foto e girati dei video che finiscono immediatamente su internet. La grafica che accompagna questi momenti è simile alla grafica che abbiamo già visto in Sherlock.
Il tono dramedy è reso dall’insieme di tutte queste cose, e sottolineato da dialoghi veloci, strizzate d’occhio e soppracciglia alzate. Dal cliffhanger risulta chiaro che la volontà degli sceneggiatori è che per i protagonisti le cose vadano sempre più di male in peggio, ma gli autori sapranno accontentare un pubblico sempre più consapevole ed esigente?
È un po’ presto per valutare la riuscita o meno di Snatch; per ora alcune scelte drammaturgiche sembrano piuttosto deboli ma in linea di massima abbiamo voglia di dare a questa serie un paio di episodi in più prima di sparare sentenze definitive.
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