Dio solo sa quanto il cinema italiano abbia bisogno dei David di Donatello. Mai come oggi sarebbe fondamentale puntare tutto su un premio autorevole e prestigioso capace di ricordarci la straordinaria qualità delle pellicole tricolori, di restituire il giusto glam alla nostra settima arte, di allungare la vita dei film promuovendone le release home video e i passaggi televisivi (e perché no un ritorno in sala) e di riconoscere la straordinaria qualità e varietà di quei tecnici il cui lavoro troppo spesso passa inosservato.
In Sky questo l’hanno capito bene, e da quando hanno acquisito i diritti del premio hanno cercato di imprimere un cambiamento epocale alla cerimonia di premiazione, che ora con un dress code all’altezza e una formula molto statunitense inizia ad avere il prestigio che meriterebbe. Il problema però è che i David, pur essendo il maggior premio di cinema italiano, continuano a godere di consensi tutt’altro che unanimi e che l’industria cinematografica italiana è la prima a non riconoscere appieno il valore di questo longevo riconoscimento. Ma d’altronde quella stessa industria è anche la prima a dimostrarsi incapace di prendersi veramente sul serio.
NON ESISTE UN VERO DIVISMO ITALIANO
Il red carpet organizzato da Sky non sarà quello del Dolby Theatre, ma di certo potrebbe essere un’ottima occasione mondana per studiare con curiosità e un pizzico di invidia i look delle star che attraversano la passerella. Il problema è che, per quanto la produzione si sforzi di garantire uno show glamour, l’impatto con la realtà è drammatico. In Italia il divismo non esiste e i modi di molti degli attori intervistati finiscono per essere rivelatori della poca considerazione che questi hanno della formalità del premio, nonché di una certa incapacità di comprendere il contesto in cui si trovano. È così che, nonostante ogni sforzo da parte dei professionalissimi inviati Sky di innalzare il livello dello show, alcuni artisti sembrano dei parvenu appena usciti dalla sagra della porchetta: un italiano stentato, risate scomposte, battute imbarazzate e una raggelante assenza di argomenti finiscono per rendere le loro fugaci apparizioni ai microfoni tutt’altro che memorabili. Nemmeno l’industria delle illusioni può fare miracoli.
UNO SPETTACOLO DISORGANIZZATO CON TESTI IMBARAZZANTI
Ovviamente nessuno si aspetta che Sky investa cifre iperboliche nella cerimonia di premiazione, e, anzi, il risultato finale è comunque decisamente apprezzabile. Certo, sarebbe preferibile evitare di scimmiottare troppo palesemente gli Oscar, considerato che il confronto è impietoso (si pensi alla commemorazione dei defunti, la cui mestizia non è poi sufficientemente controbilanciata in scaletta), ma il vero problema è un altro: ci sarebbe un bisogno disperato di autori più solidi a scrivere i testi e di una maggiore fluidità nella regia. C’è solo una cosa che riesce a risultare peggiore delle battute penose di Cattelan, ed è il gelo che le accompagna. Mentre il giovane conduttore si dimena come un pesce fuor d’acqua sul palco, atteggiandosi da mattatore quale non è, un misto di algido silenzio e sorrisi forzati accompagna i suoi tempi comici sempre puntualmente sbagliati, mentre da casa gli spettatori probabilmente si chiedono se chi ha firmato le ‘esilaranti’ gag sperasse in delle risate. Certo, rispetto ai Solenghi o Ruffini di qualche edizione fa il salto di qualità è comunque ragguardevole, ma ormai i David hanno intrapreso un nuovo corso, e non è dato accontentarsi. Come se non bastasse, nessuno sembra istruito su come muoversi sul palco, la scaletta ‘scricchiola’ e la regia tende con una certa facilità a perdere il controllo. Il risultato è decisamente al di sotto delle ambizioni che lo show vorrebbe avere, nonostante l’ottima esperienza di Sky con gli eventi live.
MOLTI VINCITORI “NON HANNO NULLA DA DIRE”
A rendere ancora più imbarazzante la cerimonia di premiazione dei David di Donatello ci sono poi molti tra i premiati stessi, che forse non riconoscono la dovuta importanza al premio e per questo si presentano a ritirare la statuetta senza aver preparato la benché minima ossatura di un discorso. Eppure non dovrebbe essere difficile pensare un discorsetto di meno di un minuto. Il risultato è che la quasi totalità dei premiati finisce per esordire sottolineando di non aver nulla da dire e iniziando a scandire ad alta voce il conto alla rovescia dei secondi a disposizione, intervallandolo a qualche ringraziamento di rito. Ovviamente una pochezza di argomenti così diffusa e sconfortante non può in nessun modo essere imputata all’organizzazione dei David, ma rimane il fatto che contribuisce in modo considerevole ad abbassare il livello di quelli che vorrebbero invece essere “gli Oscar italiani”.
LA GIURIA E IL REGOLAMENTO DEI DAVID VANNO SERIAMENTE RIPENSATI
In Italia l’industria cinematografica sembrerebbe incredibilmente florida: ultimamente vengono sfornate un paio di commedie italiane a settimana e, se si prende in mano il book che riporta le schede di tutti i film eleggibili ai David 2017, c’è il serio rischio di incorrere in un’ernia. Purtroppo la situazione è meno felice di quanto non sembrerebbe e molte delle suddette pellicole – a volte pur essendo meritevoli di maggiore attenzione – finiscono per restare pochi giorni in sale vuote, registrando incassi spesso risibili che sono poi ulteriormente provati da iniziative come il mercoledì a 2€. A una tale abbondanza di film in sala inoltre non corrisponde certo un altissimo livello qualitativo d’insieme, eppure molte pellicole possono vantare eccellenze in singoli comparti (fotografia, montaggio o interpreti non protagonisti, ad esempio) che meriterebbero un riconoscimento. A dispetto di una tale ricchezza di titoli, però, succede che le candidature per ogni categoria finiscano per concentrarsi ingiustificatamente su una manciata di titoli e che, alla fine dei giochi, siano solo 3 pellicole a spartirsi ben 17 premi, come se in un anno di cinema non si fosse fatto null’altro in Italia. In realtà un tale accentramento dei premi è la diretta conseguenza di una giuria mastodontica la cui composizione non segue solo criteri artistici ma tradisce una certa tendenza a compiacere potentati politici ed economici, che fanno confluire ‘pacchetti di voti’ su determinate pellicole che a volte i giurati nemmeno hanno visto. Ciò non significa che La Pazza Gioia, Indivisibili e Veloce Come Il Vento non meritassero molti dei riconoscimenti assegnati, ma che ci sono tanti validi professionisti che non hanno visto i propri nomi finire nelle cinquine a causa di questo meccanismo viziato ben noto all’industria dei film; un meccanismo che è la prima vera causa della modesta autorevolezza di cui gode il premio nel settore. Inoltre i premi ai migliori film stranieri, di un’irrilevanza disarmante, potrebbero tranquillamente essere aboliti.
È ARRIVATO IL MOMENTO PER UN PRESIDENTE ‘GIOVANE’
Il compianto Gian Luigi Rondi ha fatto il bello e il cattivo tempo nell’industria cinematografica italiana. Il decano dei critici, scomparso lo scorso anno alla veneranda età di 95 anni, è rimasto al comando dell’Accademia del Cinema Italiano fino alla fine, senza sentire l’esigenza di un meritato pensionamento o di passare il testimone a un presidente più giovane, capace magari di interpretare meglio lo spirito del nostro tempo (ma d’altronde già Antonioni negli anni ’80 rimproverava a Rondi un certo conservatorismo). Alla sua dipartita gli è subentrato ad interim il regista e sceneggiatore Giuliano Montaldo, che nonostante abbia manifestato la volontà di cedere la guida dell’Accademia del Cinema Italiano e dei premi David di Donatello a un ‘erede’ più giovane (gliene va dato merito), di fatto è ancora formalmente al timone nonostante i suoi 87 anni d’età. Di certo dietro ogni carica di potere c’è un team che contribuisce ai processi decisionali, ma finché i David non avranno una leadership al passo con i tempi sarà vana ogni speranza di un vero riformismo capace di aggiustare la rotta e porre rimedio a molte delle zavorre che impediscono a un premio ormai sessantunenne di rinnovarsi nel profondo per crescere ancora.
I David di Donatello sono quello di cui abbiamo bisogno. Ma dei David pronti a rivendicare il proprio ruolo fondamentale nel cinema italiano, anche a costo di qualche forte scossone di assestamento. Certo, tra i premiati di quest’anno ci sono anche una pellicola passata in sordina – che ora avrà la giusta visibilità – e un film ‘di genere’, ma la volontà di privilegiare alcuni lavori in particolare a scapito della ricchezza dell’offerta creativa e soprattutto tecnica della nostra cinematografia rimane colpevole.
Speriamo che l’ammodernamento della formula giunto lo scorso anno sia stato solo l’inizio di un nuovo percorso all’insegna di un’autorevolezza sempre maggiore, e speriamo che se ne accorga pure l’industria cinematografica: siamo bravi, anche molto, e potremmo almeno una volta ogni tanto prenderci più sul serio.