Firmare un’opera prima vuol dire molto, farlo quando sei un giovanissimo regista significa poi lanciare al mondo il tuo primo messaggio attraverso delle immagini. Paths, primo film del regista tedesco Chris Miera presentato in concorso a Lucca Film Festival e Europa Cinema, è in tutto e per tutto un prodotto estremamente semplice: di questa parola, però, dobbiamo cercare di cogliere ogni possibile sfumatura e non, involontariamente, solo gli aspetti negativi.
Paths racconta la storia d’amore di Andrea e Martin, due uomini che vivono gli alti e bassi della vita di coppia. C’è anche il figlio di uno di loro (avuto da una relazione precedente), Max, che porterà la coppia ad affrontare i problemi legati all’essere una famiglia.
Il pregio più nitido di quest’opera prima è la sua voglia di mostrarsi senza alcun tipo di retorica: i personaggi e le situazioni non vengono mai descritte con un taglio che accentui il fatto che sono due uomini ad essere al centro dell’impianto narrativo (una coppia che successivamente diventerà una vera e propria famiglia omo-genitoriale). Il regista vuole mostrare le incalcolabili vie (Ein Weg, titolo originale, significa “una via”) che attraversano la vita di Andrea e Martin. Una relazione che non possiede nulla di particolarmente eccezionale, e che proprio per questo funziona.
“Sempre la solita storia” affermano i protagonisti in uno slancio meta-cinematografico; nonostante questo, i classici litigi al supermercato dei due uomini riescono a suscitare empatia nello spettatore, che si sente molto vicino ai fatti raccontati. Il primo bacio, le attese, la routine quotidiana, i problemi di lavoro, la malattia, sono tutti momenti della lunga storia d’amore di Andrea e Martin: essa possiede un tono quasi monocorde accompagnato da una sceneggiatura che non è interessata a osservare i cambiamenti esterni alla vita dei due ma solo le modificazioni interne e più profonde della coppia stessa.
Nella regia e nella fotografia regna il canone della semplicità (quasi di stampo scolastico in alcuni casi): la macchina da presa è spesso fissa, le inquadrature sono essenziali e i campi d’ambiente sono pulitissimi e illuminati singolarmente come tanti piccoli quadri.
Non altrettanto semplice è l’intrigante struttura narrativa, incastro di flashback e flashforward: ci viene mostrato prima l’inferno del presente, per poi andare a ritroso verso un idillio amoroso ormai perduto per sempre. Purtroppo, nell’ultima parte del film, la chiarezza narrativa potrebbe essere compromessa, ma basta fare qualche calcolo per capire se ci troviamo prima o dopo rispetto a un determinato evento. Errori di gioventù.
Il primo messaggio lanciato dal giovane Chris Miera non sembra essere particolarmente positivo, ma dietro la sua semplicità estetica si nasconde la grandezza di riuscire a immergersi nella meraviglia della vita quotidiana.
Lucca 2017: Paths, quando la semplicità paga (recensione)
Una storia d'amore semplice ed efficace, in un cui una struttura narrativa ben congegnata ricostruisce la vita di una famiglia omogenitoriale.