Uno dei titoli più interessanti in concorso quest’anno al Lucca Film Festival e Europa Cinema è il brasiliano Rifle, seconda pellicola del giovane Davi Pretto (filmmaker di Porto Alegre classe 1988) presentata nella sezione Forum alla 67° edizione del Festival del Cinema di Berlino.
Il protagonista di Rifle è un giovane ragazzo problematico.
Dione vive e lavora in una piccola fattoria in una zona sperduta del Brasile, la cui tranquilla quotidianità viene minacciata da un ricco proprietario terriero. Quest’ultimo sta acquistando tutte le terre delle regioni vicine ricorrendo ad ogni mezzo pur di convincere Dione ad abbandonare la propria casa e a vendere la proprietà. Ma il nostro protagonista non cederà alle pressioni del latifondista.
La pellicola tratta, in maniera molto particolare, la distruzione della natura da parte della civiltà.
Ad uno sguardo superficiale, Rifle ha dei punti in comune con l’altro film sudamericano in concorso qui a Lucca ovvero El Invierno: entrambe le opere infatti sono ambientate in una fattoria fuori dal mondo che verrà totalmente sconvolta dall’arrivo dei grandi capitali, mettendo in questo modo a rischio l’ecosistema di quei delicati luoghi; se però il film argentino si concentra più sulle immagini (mettendo purtroppo in secondo piano la storia), il lungometraggio di Pretto, dal punto di vista dello script, è un’opera molto più solida perché qui l’evoluzione psicologica del protagonista è centrale. Pretto, a differenza del regista di El Invierno, sa sfruttare appieno gli strumenti che il mezzo cinematografico mette a disposizione: nonostante anche qui i tempi siano dilatati e abbondino le inquadrature fisse, il regista brasiliano alterna benissimo campi lunghissimi con piani più stretti nei momenti in cui entriamo più a contatto con i vari personaggi (è bravo anche a dosare i grandi silenzi con i dialoghi, segno di una convincente gestione del ritmo). Se vogliamo definire il genere a cui appartiene Rifle, la prima cosa che viene in mente è il western: i primi piani che il cineasta riserva a Dione (ottima la scelta dell’attore che lo interpreta) danno proprio l’idea del cowboy in lotta per difendere il proprio territorio. Non lasciamoci però ingannare dall’espressione apparentemente innocua del nostro Dione: dietro la maschera del contadinotto ingenuo si cela uno psicopatico con un passato nelle forze militari (un pò come Travis Bickle in Taxi Driver) disposto a tutto pur di salvaguardare la sua routine (anche sparare a dei passanti totalmente innocenti). Noi non riusciamo mai a capire cosa passa per la testa di questo ragazzo: l’interpretazione che possiamo dare sul suo comportamento è che in realtà Dione sia una sorta di incarnazione umana della natura del luogo, che si ribella (anche in maniera violenta) all’arrivo dell’uomo ma, pur combattendo con le unghie e con i denti, alla fine diventerà succube delle regole della civiltà, così come i suoi cari (per esempio la sorella, costretta dagli eventi a prostituirsi). Pur non essendo esente da difetti (in un’occasione la pellicola gira a vuoto), Rifle guarda con occhio distaccato la vicenda del suo protagonista, non giudicando mai il suo operato e costringendo lo spettatore a riflettere su ciò che ha visto (anche il minutaggio, 88 minuti, è perfetto); per essere il suo primo vero film (la sua opera prima, Castanha, è in realtà un documentario), Pretto ha dimostrato di avere le capacità necessarie per diventare un autore di tutto rispetto.