Olivier Assayas è uno dei registi meno inquadrabili del nostro tempo. La sua produzione comprende lavori sul “maggio” sessantottino come Qualcosa nell’aria, drammi più classici come Ore d’estate, il cervellotico Sils Maria e il thriller pornografico Demonlover. Assayas gira una rapsodia di 121 minuti nella quale riesce a fare ciò che facevano i grandi narratori del novecento: raccontare un paese e la sua cultura tramite la sessualità. Gli orientali, con i loro hentai, i loro mostri, il porno animato 3D nel quale le adolescenti vengono fatte godere creature di ogni sorta (dai pesci a uno spaventoso mostro che ricorda Lovecraft). Ma a essere condannati sono gli occidentali, la mania di controllo e il loro gusto per la morte e il sangue.
Diane (Connie Nielsen), che lavora per una compagnia francese in procinto di acquisire una società giapponese di animazione, ordisce una piano per ottenere la posizione della sua direttrice Karen. Il maneggio funziona, ma successivamente Diane deve affrontare alcuni problemi nel momento in cui una compagnia americana concorrente, rappresentata da Elaine, è coinvolta nell’affare. Elise (Chloe Savigny), assistente di Diane, rimane fedele a Karen e rovina i piani della protagonista. Quando si scopre che una delle due parti interessate controlla un sito internet che trasmette scene di tortura reale, la trama si complica.
Assayas è un regista che viene dalle letterature novecentesche della scuola di Francoforte, dalla nouvelle vague, dall’amore per il cinema orientale, da Pasolini, dal lavoro di critico musicale prima e cinematografico poi. Tutte le sue suggestioni vanno a fondersi in una pellicola indescrivibile, a volte confusa e difficile da seguire ma non per questo poco coinvolgente.
Il regista chiude l’obiettivo, osserva stretto i visi splendidi della Nielsen o della Sevigny, l’azione è convulsa, rapida, ripresa con una camera a mano come le pellicole migliori della Dogma di Vinterberg e Lars Von Trier. La Nielsen è sempre al centro del mondo di Demonlover; è la vittima e il carnefice, gioca diversi ruoli, sorprende continuamente lo spettatore. Ma soprattutto, come Isabelle Huppert, non si tira mai indietro e non si pone limiti, che si tratti di mostrarsi nuda a favore di camera o intrappolata in una scurissima e strettissima tuta di latex, pronta ad essere torturata.
Demonlover è, infine, una profezia distopica che oggi, a 14 anni dalla sua uscita, sembra essersi avverata. Si è avverata per quanto riguarda il voyeurismo occidentale, il quale si è evoluto dalla “finestra” alla videocamera; ne è una prova il grande successo odierno dei siti di webcam a pagamento o dei video amatoriali illegalmente diffusi. Assayas ci spinge a pensare. Ci spinge a riflettere su come la sessualità, il feticismo e il desiderio asiatico, espresso negli hentai e nei manga erotici, sia ben più innocente delle manie di controllo occidentali. Il personaggio di Hervè ne è la problema. Il suo desiderio verso la Nielsen è una irrefrenabile propulsione verso la conquista e il dominio dell’oggetto del desiderio. Gli asiatici amano vedere e gli occidentali possedere.
Pasolini aveva raccontato il bisogno di dominio fascista in Salò e Assayas, prendendo la lezione del poeta bolognese, lo ha aggiornato, riprodotto, proiettato verso un futuro “alla portata di tutti”, come rappresenta il finale. Demonlover è un gioiello.
Lucca 2017: Demonlover, tra il sesso e un mercato amorale (recensione)
Al Lucca Film Festival omaggiato il regista di Personal Shopper con la proiezione del suo film del 2002 con Connie Nielsen e Chloe Sevigny.