“Ciao, sono Hannah, Hannah Baker. Esatto. Non smanettate su… qualunque cosa voi stiate usando per ascoltare. Sono io. Mangia qualcosa e mettiti comodo, perché sto per raccontarti la storia della mia vita. Anzi, più esattamente il motivo per cui è finita“. Queste frasi agghiaccianti, che stridono con il tono allegro della voce che le pronuncia, aprono 13 reasons why, ideata da Brian Yorkey, prodotta da July Moon Productions (con la produzione esecutiva di Selena Gomez) e distribuita da Netflix. La serie, tratta dal romanzo 13 di Jay Asher, ci racconta perché Hannah Baker (Katherine Langford) ha deciso di togliersi la vita. Tredici ragioni, che corrispondono a dei nomi ben precisi, a cui sono dedicate le cassette che Hannah ha registrato prima di suicidarsi. Ne scopriamo il contenuto ascoltandole assieme a Clay Jensen (Dylan Minnette, che non riesce a trasmetterci l’animo del suo personaggio), amico di Hannah, a cui vengono recapitate le cassette. Tredici nomi, tredici cassette, tredici puntate: Justin (Brandon Flynn), primo amore, scatta ad Hannah una foto intima e la divulga; Jessica (Alisha Boe, tra le migliori performance della serie) la migliore amica, la abbandona, come pure Alex (Miles Heizer); Tyler (Devin Druid) viola la sua privacy; Courtney (Michele Selene Ang) la usa come scudo alle sue paure; Marcus (Steven Silver) mercifica il suo corpo per il divertimento degli amici; Zach (Ross Butler) la fa sentire profondamente sola; Ryan (Tommy Dorfman) viola l’intimità dei suoi pensieri; Justin, comparendo per la seconda volta, permette la prima mostruosità della serie; Sheri (Ajiona Alexus) la coinvolge in qualcosa di più grande di loro; Clay non è in grado di starle vicino e la lascia sola; Bryce (Justin Prentice) è la chiave di volta che le fa definitivamente decidere di togliersi la vita; Mr. Porter (Derek Luke), psicologo, è incapace di cogliere i segnali della sua terribile decisione.
A ognuno di loro è dedicata un’intera puntata. Il focus della serie, infatti, si sposta sugli altri comprimari (pur non riuscendo a definirli in modo realistico) mentre il personaggio di Hannah, rimane spesso in ombra. L’espediente narrativo di ricostruire il passato della protagonista attraverso le sue parole registrate si traduce in un montaggio che salta dal passato al presente e viceversa, utilizzando simbolicamente, per distinguere i due tempi, dei cambiamenti di luce e che, pur non riuscendo a mantenere la tensione all’interno degli episodi, rallentandoli eccessivamente, si dimostrano ugualmente fluidi.
Questi salti temporali, però, insieme alla scelta di affrontare la storia per temi e a una sceneggiatura che non calca sulla drammaticità delle emozioni coinvolte, puntando quasi ad alleggerire l’atmosfera, rendono difficile per lo spettatore partecipare alla discesa agli inferi di Hannah. Manca una resa credibile e lineare del climax che porta Hannah al suicidio: distrazioni e digressioni rompono continuamente il processo di immersione nelle emozioni della giovane. Stereotipi del bullismo americano condiscono il tutto, inquinando la sceneggiatura, a partire dalla famosa testa che ogni nerd si è visto mettere nel water dal classico bullo giocatore della squadra di basket/baseball più famoso della scuola, presentandoci il gay esageratamente effemminato che scrive poesie, e la cheerleader dal cuore d’oro. Sommiamo a questi una gestione delle relazioni abbastanza contorta, balli scolastici, armadietti, discussioni familiari, una scuola che sembra formata da tredici persone, qualche situazione improbabile, e per 13 reason why diventa difficile uscire dalla categoria teen drama: ci riesce in modo continuativo solo negli ultimi tre episodi, in cui non solo gli argomenti diventano più importanti e più facilmente spiegano la decisione drastica di tagliarsi le vene, ma oltretutto la sceneggiatura si pulisce, e nella scena del suicidio emerge finalmente la necessaria nota drammatica, innalzando la serie di livello. Negli altri episodi, tocchi di poesia non trascurabili e ottime sezioni narrative emergono a macchie, senza riuscire a imporsi del tutto.
13 Reasons Why ha il suo grande e indiscutibile punto di forza nel riuscire a portare sullo schermo, con un linguaggio che riesce a parlare agli adolescenti, tematiche di cui si tratta sempre in modo troppo velato, e di cui si parla sempre troppo poco. Bullismo, ma non solo: omertà, reputazione, tradimento e violenza si insinuano nella trama. Il taglio innovativo che la serie dà a questo argomento lo troviamo anche nell’aver sottolineato, al di là della mera rappresentazione del bullismo tra i ragazzi, l’importanza del sostegno psicologico di un adulto, meglio se di un professionista, e di come spesso sia l’assenza di questo stesso a far precipitare una situazione che i giovani da soli non gestiscono più.
13 Reasons Why: nel nuovo teen drama Netflix le ragioni di una giovane suicida (recensione spoiler)
La nuova serie indaga la fragile psicologia dei teenager e denuncia la violenza, la prepotenza e l'egoismo che hanno rovinato la vita della protagonista.