Quasi nessuno poteva ipotizzare, un paio di anni fa, che Better Call Saul avrebbe raggiunto lo stesso livello di Breaking Bad: sono ormai lontani i tempi in cui c’era un forte scetticismo attorno allo show del canale via cavo AMC (alla vigilia del suo debutto, nel 2015, non pochi fan erano contrariati dalla scelta dei vertici del network americano di dare fiducia alla nuova creatura di Vince Gilligan). Non solo lo spin-off dedicato a Saul Goodman ha dimostrato nelle sue due prime stagioni di reggere benissimo il confronto con la serie madre ma anche di essere, oggigiorno, uno dei prodotti più importanti del piccolo schermo. Ecco per quale motivo l’hype attorno alla première di quello che Newsweek ha definito “il miglior prequel della televisione” era così alle stelle.
Nel primo episodio di questa terza annata gli autori non scoprono subito le loro carte migliori.
Si riprende il discorso lasciato in sospeso la scorsa stagione, ovvero il confronto tra Jimmy (Bob Odenkirk) e Chuck (Michael McKean): Chuck si rende conto che non può utilizzare in tribunale la registrazione (fatta a tradimento) della confessione del fratello ma sembra avere un piano per fargliela pagare. Intanto il nostro protagonista porta avanti il nuovo studio che divide con la compagna Kim (Rhea Seehorn), mentre Mike (Jonathan Banks) vuole scoprire chi gli ha impedito di uccidere Hector Salamanca e, grazie ad uno stratagemma molto astuto, riesce a mettersi in condizione di dare la caccia a questi misteriosi uomini.
Better Call Saul riesce ad entusiasmare anche in una puntata dove succede molto poco.
La serie creata da Vince Gilligan e Peter Gould non ha bisogno di partire in quarta per tenere incollati davanti allo schermo i telespettatori: grazie alla forza della messa in scena (Gilligan dietro la macchina da presa compie un lavoro egregio) e al carisma dei suoi personaggi (con un Mike in grande spolvero), lo show compie un ulteriore passo in avanti in questa première apparentemente introduttiva. Con il consueto ritmo narrativo che contraddistingue il prodotto AMC dal resto della serialità contemporanea, i due showrunner fanno il punto della situazione continuando a trattare separatamente le due storylines principali (quella di Mike e quella di Jimmy) dal potenziale esplosivo quest’anno; se il primo infatti sta percorrendo una strada che sembra portarlo quasi inevitabilmente nella direzione di Gus Fring (il character più atteso della terza stagione), il nostro avvocato preferito è ad un passo dal baratro, professionale e personale. Nel momento in cui la metamorfosi di Jimmy in Saul sembra aver preso una piega ben precisa (anche il cold open in apertura di episodio suggerisce che, nonostante le sue vicissitudini, il lato “oscuro” di Jimmy è duro a morire), quello che è a tutti gli effetti il vero villain dello show, Chuck, si prepara a rendere la vita dell’odiato fratello impossibile facendo terra bruciata attorno a lui (e qui non possiamo non pensare alla splendida Kim, probabile vittima di questa faida). Gilligan e Gould, con la solita maestria, lasciano sempre allo spettatore l’onere costruttivo di comprendere ciò che sta guardando senza inutili spiegoni, come solo il grande cinema riesce a fare; ma non esisterebbe Better Call Saul (o Breaking Bad) senza il New Mexico, è grazie alla città di Albuquerque che torniamo magicamente a respirare quell’atmosfera così particolare che rendono questi due show un unicum difficilmente replicabile altrove.
In attesa dell’entrata in scena di Giancarlo Esposito, Better Call Saul non delude le aspettative e, stando a ciò che dicono i critici in America, probabilmente già ci troviamo di fronte ad una delle serie migliori di questo 2017.
Better Call Saul in Italia è distribuito da Netflix, che rilascia settimanalmente un episodio dopo 24 ore dalla messa in onda americana.