Il sindacato degli sceneggiatori americani minaccia un nuovo sciopero che potrebbe paralizzare l’industria dell’entertainment statunitense per mesi. Era successo nel biennio 2007-2008, qualcuno se lo ricorderà perché lo sciopero dei membri della Writers Guild of America allora procurò una destabilizzazione dell’intera industria dell’intrattenimento americana per 100 giorni. Le serie tv furono costrette ad interrompere la produzione e per rappresaglia i produttori cominciarono a licenziare tutti gli assistenti, tanto che Seth MacFarlane (Family Guy, American Dad) invitò gli showrunner che se lo potevano permettere a pagare di tasca propria il salario dei “little guys”. Quale sia stato il danno economico di quello sciopero è un’altra materia sulla quale WGA e AMTTP non hanno trovato un accordo.
Ora gli sceneggiatori sono di nuovo sul piede di guerra e se allora l’oggetto del contendere erano i diritti della distribuzione digitale dei prodotti audiovisivi, oggi sul piatto c’è l’aggiornamento dei contratti con i più di 350 produttori dell’AMTTP-Alliance of Motion Picture and Television Producers, che, tra gli altri, rappresenta gli interessi di Disney, 20th Century Fox, Paramount, Sony, Universal, Warner Bros e ABC, CBS, FOX, NBC. Infatti ogni tre anni il contenuto del contratto di base tra sceneggiatori e produttori viene rimesso in discussione per essere adattato alle esigenze di un’industria che è in continua evoluzione. Oggetto del contendere di questo confronto, che ha visto un massiccio voto di autorizzazione allo sciopero da parte dei membri del sindacato, superiore a quello del 2007-2008, è principalmente la mutata condizione di lavoro degli scrittori della tv che si vedono legati in esclusiva a serie che nella maggior parte dei casi non hanno più di tredici episodi a stagione, venendo pagati quanto lo erano prima, quando potevano invece contare su un numero maggiore di sceneggiature da scrivere per ciascuno show. L’altra richiesta riguarda il fondo salute e il fondo pensione, conquistati grazie alle battaglie sindacali degli anni Sessanta, ma che ora necessitano di un incremento che vada di pari passo con l’aumento dei costi dei servizi sanitari.
Le voci che parlavano di accordi separati con Netflix e Amazon sono, a quanto pare, del tutto infondate. Inoltre, come ha fatto notare più di qualcuno, entrambi risentirebbero meno di altri dell’eventuale sciopero e anzi forse potrebbero in qualche modo trarne un profitto, accogliendo nuovo pubblico lasciato a bocca asciutta dai loro competitor.
Il contratto scadrà il 1 maggio, quindi già dal giorno successivo sarà necessario prendere una decisione. Quale che sia il risultato, una riflessione sulla rapida evoluzione dell’industria dell’audiovisivo è d’obbligo, soprattutto in un Paese come il nostro dove se anche i treni arrivano spesso in ritardo, siamo puntualmente capaci di perderli. Ora come non mai la sfida di un mercato globale dell’audiovisivo è a portata di mano e se esistono esempi italiani virtuosi – capaci cioè di uscire dal nostro mercato e competere nell’arena internazionale – sono ancora troppo pochi.
Questo cosa c’entra con lo sciopero degli sceneggiatori? Se consideriamo la filiera produttiva dell’audiovisivo, è facile comprendere come tutto il processo industriale nasca dall’idea, che poi si trasforma in un film, una serie, un videogioco. Frank Pierson (Quel pomeriggio di un giorno da cani) lo spiegò con semplicità a James V. Hart (Hook, Dracula di Bram Stoker): “[…] ricorda che nessun regista, […] nessun attore, nessun direttore della fotografia, nessuno scenografo, costumista, tecnico del suono, nessuno dei ragazzi degli effetti speciali, nessun montatore, nessun catering, nessun autista, nessuno, nessuno ha un lavoro finché non scrivi “The End”.” Questo significa che, perché possa esistere un’industria sana e competitiva, chi ci lavora (dagli sceneggiatori ai proiezionisti) dovrebbe essere messo in condizione di vivere della sua attività professionale, di avere una previdenza sociale e, se lo desidera, di mettere su famiglia. Queste garanzie le possono dare solo un sistema industriale stabile, la deontologia professionale di tutti i suoi protagonisti e soprattutto contratti che tengano conto delle necessità specifiche delle varie categorie di lavoratori. E se in Italia un contratto collettivo nazionale esiste per tanti settori, per gli sceneggiatori non esistono neanche linee guida concordate e la trattativa tra produttore e sceneggiatore tende ad avere poca dialettica. Ma le cose potrebbero cambiare.
Vicino un altro sciopero degli sceneggiatori? Hollywood al bivio.
Il sindacato degli sceneggiatori americani è sul piede di guerra; si rischia una paralisi come quella che bloccò Hollywood nel 2007.