Se aveste qualche dubbio su quali possano essere gli sviluppi della trama del nuovo film di Stephen Gaghan (regista di Syriana e sceneggiatore di Traffic), ci pensa il sottotitolo italiano a togliervi ogni gusto della scoperta. Da spettatori non possiamo fare a meno di pensare che sarebbe stato meglio un titolo che non rivelasse uno dei punti cardine del plot di Gold – La Grande Truffa, ma è pur vero che la scelta del distributore è giustificata dalla necessità di rendere più interessante un film che, a dispetto degli interpreti di prim’ordine, non ha certo un forte carisma – anche se è capace di riscattarsi sul finale.
Uno straordinario e camaleontico Matthew McConaughey è Kenny Wells, erede di una fortunata stirpe di cercatori d’oro i cui affari vanno tutt’altro che bene. Nel disperato tentativo di salvare l’impresa di famiglia, supportato dalla bellissima moglie Kay (la sempre ottima Bryce Dallas Howard), contatta il celeberrimo e controverso geologo Michael Acosta (Edgar Ramirez) e, con la sua consulenza, investe i propri ultimi averi in una disperata ricerca di vene aurifere nel Borneo. L’impresa – apparentemente disperata – ha successo e Wells, improvvisamente miliardario, si ritrova catapultato a Wall Street, dove sarà evidente la distanza di modi e mentalità dagli squali della finanza, trai quali ritroviamo il character interpretato da Corey Stoll.
Guardando questo nuovo prodotto distribuito a un anno dall’uscita domestica da Eagle Pictures e Leone Film Group, è impossibile non pensare a pellicole come The Wolf of Wall Street e La Grande Scommessa, e soprattutto nel secondo atto i punti di contatto sono effettivamente molti, compreso qualche isolato ammiccamento come la narrazione in split screen e il mood funk della colonna sonora. In realtà però Gold – La Grande Truffa rivendica un proprio approccio che si discosta non poco dai suddetti titoli: l’idea dell’epopea imprenditoriale e la tematica del duro lavoro come antitesi delle rendite passive caratterizzano in modo preponderante la pellicola, e mentre la trasformazione fisica di un McConaughey calvo e sovrappeso (con tanto di finto dente storto) rimanda al Michael Burry di Christian Bale, la quasi totale assenza di senso dell’umorismo e di elementi della commedia è il più ineludibile punto di distacco dai film di Scorsese e McKay.
Questa assenza di un linguaggio più fresco e accattivante fa sì che la pur ottima regia di Gaghan, supportata da un cast tecnico di casa agli Academy Awards, non basti a dare smalto a uno script che non riesce mai a creare una vera empatia e che, nella sua convenzionalità, sembra il più classico e meno ispirato dei film da Oscar. McConaughey, quando si è buttato a capofitto nel progetto proponendosi anche come produttore, deve aver pensato proprio alla statuetta dorata: il mix di velata critica al sistema capitalistico, trasformismo e ottimi nomi, d’altronde, sembrava un perfetto investimento in previsione della stagione dei premi. A dispetto di quelle che immaginiamo essere state le speranza dell’attore, però, non c’è stato il riscontro previsto e anche gli incassi in sala sono stati tutt’altro che entusiasmanti.
Nonostante quanto detto sopra però, va chiarito che il film, pur a tratti retorico e noiosetto, è comunque meritevole di visione, soprattutto perché dopo una certa stasi che ne percorre la parte centrale si avventura in un messaggio finale che riscrive le convinzioni fin lì accumulate e propone un interessante parallelismo tra i cercatori d’oro che una volta si sporcavano le mani in miniera e quelli che si sporcano la coscienza negli asettici uffici di Wall Street. La svolta finale non basta a redimere in toto il film, ma l’indiscutibile solidità degli interpreti rimane probabilmente la vera miniera d’oro nascosta solo la montagna di un lavoro buono ma non memorabile.
Gold – La Grande Truffa: McConaughey torna a Wall Street (recensione)
Un irriconoscibile Matthew McConaughey è un cercatore d'oro vecchia maniera che si ritrova improvvisamente catapultato a Wall Street.