Se si cerca sul web il nome di Donald Glover, i risultati ottenuti saranno molteplici. È un attore, sceneggiatore, regista, produttore, rapper, cantante e cantautore: non male per un ragazzo classe 1983. La sua carriera inizia nel 2006, quando viene scelto da Tina Fey come sceneggiatore del suo show 30 Rock; ci rimarrà per tre anni, facendo anche qualche piccola comparsata come attore in alcuni episodi. Dal 2009 per 5 stagioni è nel cast principale di Community, comedy incentrata sulle vicende di uno strampalato gruppo di studio di un college riservato agli studenti esclusi dalle università più autorevoli. A questo si aggiungono piccole partecipazioni in serie come Girls e in film come Magic Mike XXL e The Martian di Ridley Scott. Nel frattempo, la carriera nello show business è accompagnata da quella musicale e, con il nome d’arte Childish Gambino, il nostro incide tre album in studio ricevendo non una ma ben due nomination ai Grammy Awards, per il Best Rap Album e Best Rap Performance.
L’illuminazione definitiva arriva nel 2015, quando Glover decide di esprimere la sua poliedricità in un unico progetto, da lui ideato, scritto, interpretato e diretto: da qui nasce Atlanta.
Premiato come miglior serie comedy agli ultimi Golden Globes, lo show dell’emittente televisiva FX è ambientato nell’omonima città e segue la vita di Earn, un ragazzo che dopo aver abbandonato gli studi a Princeton per motivi sconosciuti, si ritrova con pochi dollari nel portafoglio e con un incredibile bisogno di riscattarsi agli occhi della sua quasi ex fidanzata – nonché madre di sua figlia – e dei suoi genitori che lo considerano un perdente.
Destreggiandosi tra un lavoretto saltuario e l’altro Earn scopre che il cugino Paper Boi (Bryan Tyree Henry), uno spacciatore locale, sta ottenendo un discreto successo su Youtube come rapper, e decide così di proporsi come suo manager. Con l’aiuto dell’amico stralunato Darius (Keith Stanfield) i cugini tentano la scalata al successo, con la capitale della Georgia sullo sfondo.
Con Atlanta, trasmessa in Italia da Fox, l’obiettivo dichiarato di Donald Glover è di mostrare cosa significa essere neri negli Stati Uniti, più specificatamente essere rapper neri nella capitale della cultura hip-hop. Ed è proprio la musica ad essere il filo conduttore delle vicende narrate e a rappresentare una via di fuga dalla periferia della città che conta una delle maggiori comunità afroamericane del paese.
Pur avendo la struttura classica di una comedy – dieci episodi con una durata media di 20 minuti – la serie presenta un’espressione e un ritmo diversi rispetto a quelli delle sit-com, riuscendo ad aggiungere un tassello innovativo al panorama televisivo.
Se non sono una novità show creati e “confezionati” dallo stesso artista che poi li interpreterà, come insegna Louie di Louis C.K, Atlanta riesce ad utilizzare lo humor per affrontare tematiche scottanti senza mai cadere in discorsi di denuncia palese e descrive le problematiche sociali di cui si fa portavoce con apparente leggerezza. Ci sono gli stereotipi, dai bianchi che celano razzismo dietro una solidarietà di superficie, al mondo dei gangster del rap fino alla polizia, che non si fa problemi ad intervenire con le pistole pronte a sparare, ma la comicità e la satira li sfruttano e ci giocano, trasformando delle scene di vita quotidiana in situazioni assurde, e lasciando spiazzato lo spettatore che spesso si ritroverà a chiedersi “sta succedendo davvero?”.
Se i primi episodi possono sembrare poco coinvolgenti, una volta compreso il linguaggio è tutto un crescendo, fino ad arrivare all’apice della genialità del settimo episodio in cui viene creato ad hoc un talk show con spazi pubblicitari fittizi annessi. La facilità con cui si viene coinvolti è dovuta anche ai personaggi, ognuno dei quali trova lo spazio per esprimersi al meglio, nonostante il numero ridotto degli episodi, senza contare le ottime interpretazioni degli attori protagonisti. Con Atlanta non si ride mai per una battuta chiaramente comica, il tono non è scherzoso anzi, perlopiù è cupo, ma sono le circostanze surreali travestite da normalità (un Justin Bieber di colore per esempio) ad essere il suo punto di forza, ed è per questo che l’unico aggettivo che può descrivere questa serie è intelligente, come niente di visto in tv forse lo era stato prima d’ora. L’unica pecca è che per la seconda stagione bisognerà attendere il 2018 – quel genio di Glover è impegnato nelle riprese dello spin-off su Han solo – e non ci resta che attendere con trepidazione per scoprire dove ci condurrà il giovane talento statunitense nei prossimi episodi.
Atlanta: la recensione della prima stagione della serie vincitrice ai Golden Globe
Acclamato dalla critica, lo show di Donald Glover getta uno sguardo inedito sulla black culture.