Dear White People, disponibile dal 28 aprile, è la nuova serie Netflix tratta dall’omonimo film del 2014 di Justin Simien. Il titolo rimanda alla trasmissione radiofonica della protagonista, ma per contrasto ricorda anche il tema della festa di Halloween (Dear Black People) dai toni razzisti che fa da sfondo a molte delle situazioni narrate.
Come è facilmente intuibile le vicende ruotano intorno alle differenze razziali: quelle tra i bianchi e i neri del college statunitense Winchester. Nel 2017, incredibilmente, perdurano ancora limiti e preconcetti legati al colore della pelle, e un gruppo di ragazzi afroamericani cerca di portarli alla luce per combatterli. Nel frattempo siamo pur sempre in un college, e quindi gli sceneggiatori hanno terreno fertile per parlare anche di rapporti d’amore e d’amicizia, di storie passate e di sogni.
Il percorso narrativo si dipana nell’arco di dieci episodi, ognuno dedicato a un personaggio del gruppo, messo in relazione alla serata della festa. La durata di 20-30 minuti avvicina la serie ai tempi di una comedy, genere cui rimanda anche la caratterizzazione di alcuni dei comprimari, ma questa tendenza ai toni leggeri finisce per tradire in qualche modo il messaggio di fondo, che vorrebbe essere particolarmente serio e suscitare un vivo dibattito. Il party in questione ha come tema la maschera blackface, come se incarnare uno stereotipo razziale legato allo schiavismo e al segregazionismo fosse divertente come vestire i panni di un tipico mostro di Halloween. Una provocazione raffinata alla base di una serie all’apparenza leggera, che serve per sottolineare come anche solo dietro una scelta apparentemente poco più che infelice si nasconda una mentalità capace di condizionare pesantemente l’esistenza degli afroamericani di oggi.
Ognuno racconta la sua storia, intessuta di paure e aspettative, perché pur nella stessa guerra ognuno ha il proprio motivo per combattere: Sam ha trovato nella propria indole battagliera un’identità, tanto che a volte sembra più importante l’azione che i valori che ne sono il motore; la sua amica Coco cerca un’etichetta per essere accettata e Lionel, che invece non ha mai voluto cercarne una, deve; Troy è mosso dalla passione politica ma si chiede se non sia semplicemente motivato a seguire le impronte del padre, e poi ci sono Gabe, Joelle, Reggie e altri. Una serie sull’identità, che spesso i giovani perdono o non difendono per omologarsi al gruppo.
Dear White People si lascia guardare senza richiedere un eccessivo sforzo di concentrazione, ma suscitando più di una riflessione sulla nostra società di falsi traguardi. Il punto debole dello show è però il linguaggio sostanzialmente privo di carisma, che non riesce ad essere abbastanza accattivante da sedurre lo spettatore. Anche dal punto di vista drammaturgico, non c’è alcun mistero da risolvere né alcuno stravolgimento degno di nota, e le vicende spesso si aprono e chiudono all’interno della puntata, privando lo spettatore di quella tensione verso l’episodio successivo che caratterizza le serie contemporanee. Ma infondo, che fretta c’è: se si hanno altri 20 minuti liberi, tanto vale continuare.
Dear White People: su Netflix la serie contro il razzismo dei bianchi
Oggetto di polemiche negli USA, il nuovo show del web service di Los Gatos ci ricorda quanti stereotipi ancora si annidino nella contemporaneità.