Castello di Sabbia (Sand Castle), regia di Fernando Coimbra, è una delle produzioni originali Netflix che ricevono una distribuzione diretta sul web service di Los Gatos senza passare dalle sale cinematografiche.
La pellicola è un war movie che ha l’ambizione di cimentarsi con il racconto della guerra in Iraq (tematica dalla quale il più delle volte sono scaturite pellicole deboli) e che, a differenza di altri lungometraggi ordinati dalla piattaforma, può vantare nel cast anche qualche nome piuttosto noto, come Nicholas Hoult (X-Men: Giorni di un futuro passato, Mad Max: Fury Road) e Henry Cavill (il Superman del DCEU).
Coimbra, concentrandosi su un periodo ben delimitato del conflitto, vuole mettere in scena un lavoro in cui prevalgono i toni del dramma – come spesso accade nei film di guerra – ma proprio per questo risente di un’eccessiva conformità ai cliché del genere.
Corre l’anno 2001 e Matt Ocre (Hoult) decide di arruolarsi nell’esercito per potersi pagare gli studi: sono tempi sostanzialmente tranquilli e la carriera militare sembra un’opzione relativamente sicura per garantirsi l’indipendenza economica. A due mesi dalla sua entrata in servizio però tutto va improvvisamente a rotoli: l’11 settembre 2001 l’America è sotto attacco e con la caduta delle Twin Towers sparisce ogni speranza di Ocre di non ritrovarsi seriamente coinvolto in battaglia. Nel tentativo disperato di restare i fuori dai guai, il protagonista arriva a fratturarsi una mano, ma come risultato viene ricollocato a Baghdad, dove insieme al plotone che lo accompagnerà per tutto il film si troverà coinvolto in una missione di pace per risanare il sistema idrico locale, cercando di rimanere vivo.
La pellicola di Coimbra tratta un tema ormai abusato, al quale non sembra apportare un particolare valore aggiunto. Il cast cerca di fare del proprio meglio, ma anche in questo senso la direzione del regista non sembra particolarmente salda né convincente. A complicare il tutto la scarsa caratterizzazione dei personaggi in fase di scrittura, di cui risentono gli interpreti e di conseguenza gli spettatori.
Il cineasta brasiliano in passato ha dimostrato di sapersi districare piuttosto bene con tematiche a lui più affini almeno da un punto di vista geografico (il lungometraggio del 2013 O Lobo atrás da Porta ma anche la serie Narcos), e viene il dubbio che sia proprio il setting del film a risultargli ostico da gestire. Si intravede la volontà di denunciare quella tendenza tipicamente statunitense del combinare guai e poi correre ai ripari, ma non basta a far sì che al termine della proiezione lo spettatore si alzi dalla poltrona soddisfatto.
Nonostante spunti interessanti come la necessità di pagare gli studi, la particolare cornice temporale e lo stratagemma della mano fratturata, Castello di Sabbia finisce per essere l’ennesimo lavoro di genere, conforme a mille altri e i cui 110 minuti risulteranno graditi soprattutto agli estimatori dei racconti di guerra. Se volete togliervi la curiosità, lo trovate su Netflix.