I film sono come le ciambelle: non tutti riescono col buco. È questa la sensazione che si ha nel momento in cui cominciano a scorrere i titoli di coda di War Machine, la nuova produzione da 60 milioni di dollari prodotta e distribuita direttamente da Netflix. Ma se il concetto lo vogliamo guardare dall’angolazione opposta, rimanendo in tema potremmo dire che Brad Pitt è il “buco” con un film intorno. L’attore statunitense è infatti chiaramente il fulcro della pellicola, anche se a dargli man forte ci sono anche un delizioso cameo di Tilda Swinton e un’apparizione a sorpresa di Russell Crowe. Nonostante ciò la pellicola di David Michôd non dà mai l’impressione di decollare veramente. L’idea di partenza e i buoni propositi ci sono e si vedono un po’ in tutto il film, in particolare nella prima parte, ma un’opera che vuole avere la giusta ambizione di entrare gigioneggiando nei meccanismi dell’approccio americano alla guerra, al potere, alla politica, alla liberta e alla democrazia, non può cavarsela a suon di buone intenzioni. Il linguaggio del cinema è cambiato, certo, ma il vecchio Woody Allen in tal senso avrebbe forse ancora qualcosa da insegnare.
War Machine è il libero adattamento per il piccolo schermo (grande, almeno nelle ambizioni) del libro del giornalista Michael Hastings dal titolo The Operators. Protagonista il pluridecorato generale Glen McMahon, cui viene affidato il comando delle forze Nato in Afghanistan. Glen, a metà tra carisma e macchietta da avanspettacolo, racchiude in sé tutte le contraddizioni che fanno dell’America una nazione grande e fragile. Glen McMahon incarna la parte forse più controversa del “sogno americano”: avere la pretesa di ricevere la solidarietà di un popolo mentre lo si sta bombardando. Come dire “ti aiuto” e “ti uccido” allo stesso tempo. Una vera e propria missione impossibile cui vengono chiamati uomini che hanno idee chiare, fede incrollabile, carattere d’acciaio e un solidissimo pragmatismo. Uomini così perfetti da perdere il contatto con la realtà e fatalmente destinati a scivolare rovinosamente sulla classica buccia di banana.
War Machine è chiaramente una commedia antimilitarista e va dato atto al regista australiano di aver provato a cavalcare il genere, rifuggendo il drammone o il solito classico film d’inchiesta. I registri entro i quali si muove sono diversi: si va dal sarcasmo all’esilarante, dal surreale al comico e Brad Pitt, pur non essendo la sua migliore interpretazione, sembra sufficientemente a proprio agio nelle vesti di un personaggio così sfaccettato ma in fondo così semplice e ingenuo, quasi un’anima “pura” nel suo esilarante nonsense e nel suo rifiuto di confrontarsi con l’altro ancor più esilarante, ipocrita e feroce nonsense della politica. Eppure il motore del film non sempre va a pieni giri. I passaggi a vuoto non mancano e si percepiscono, così come va anche detto che le oltre due ore di girato non aiutano lo spettatore a soprassedere sui frequenti cali narrativi. Il problema non sembra risiedere tanto nella scrittura, sempre ad opera di David Michôd, quanto nella lacunosa capacità del regista di gestire il cambio dei toni necessari a connotare il personaggio e il suo rapporto con il contesto e con gli altri. I tempi comici sono le prime vittime e dopo un po’ la fatica (dello spettatore) affiora. Resta comunque un’ottima idea e un film da vedere, anche perché Michôd ha dimostrato con Animal Kingdom di sapere cosa è il cinema e una possibilità gli si ridà volentieri. Inoltre alle performances di Pitt e della Swinton, vogliamo aggiungere quella di Ben Kingsley, che si fa apprezzare e dà il suo bel contributo a sorreggere la baracca.
War Machine: direttamente su Netflix il nuovo film di Brad Pitt (recensione)
Brad Pitt è il protagonista della nuova pellicola originale di Netflix: una satira sulla guerra che funziona ma non convince fino in fondo.