L’esistenzialismo di Jean-Paul Sartre trasuda in tutta l’opera prima di Brady Corbet, The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo, presentato in concorso al Festival del Cinema di Venezia nel 2015, uscito in sala in Italia nel 2017 e ora finalmente arrivato in blu-ray e DVD su distribuzione CG Entertainment e Fil Rouge Media. Un lavoro potente, eppure non sorprende che la distribuzione al cinema e in home video sul mercato italiano sia andata tanto a rilento, vista la sfrontatezza del tema principale e una regia diretta ed essenziale, che usa il 35mm per meglio entrare nella vita di una famiglia novecentesca e di una storia europea che ancora oggi non ammette scusanti per aver aperto le porte a dittature feroci, di cui paghiamo ancora le conseguenze.
Liberamente tratto dall’omonimo racconto del filosofo francese e ispirato al romanzo Il Mago di John Fowles L’Infanzia di un capo è la metafora di come il concetto di leadership, inteso come dittatura, possa essere facilmente riconoscibile e di come l’ipocrisia della modernità, la religione e la politica possano influenzare negativamente la vita delle persone, creando pericolose degenerazioni.
Ad essere narrato è il mondo del piccolo Prescott (il bravissimo esordiente Tom Sweet) che si trova nella fase della crescita in cui non si è né bambini e né uomini, il momento più delicato che spesso coincide con la formazione del carattere e delle future eventuali psicopatologie.
Prescott è un bambino americano, alloggiato con la sua famiglia presso una residenza di campagna alle porte di Parigi dove il padre (Liam Cunningham), consigliere del presidente Wilson, è incaricato di trattare con i leader europei per la definizione di quello che diventerà il Trattato di Versailles (1919) e che getterà il Vecchio Continente in una profonda crisi, contribuendo allo sviluppo dei germi della dittatura.
Il periodo che Prescott trascorre in Francia è narrato in quattro atti, che corrispondono ad altrettanti stati umorali prevalentemente di rabbia, che si scatena nelle forme più comuni di ribellione agli schemi, tipiche dei bambini meno avvezzi al rispetto delle convenzioni sociali.
Prescott è un bambino precoce e curioso, frenato da una madre rigida e bigotta (Bérénice Bejo), amato da una tata dolce ed amorevole (Yolande Moreau) e istruito da una giovane insegnante di francese (Stacy Martin).
Circondato da figure femminili Prescott a stento riesce a vedere il padre che, al contrario, vive in un mondo fatto di soli uomini, dove sembra non esservi spazio per nessun altro essere umano. Una realtà parallela in cui l’ambiguo giornalista Charles Marker (Robert Pattinson), amico di famiglia, tesse la tela dei rapporti diplomatici. Un dualismo insopportabile, che invade prepotentemente la vita del piccolo Prescott e che lascia allo spettatore una serie di questioni su cui riflettere e che Brady Corbet volontariamente lascia in sospeso.
Una metafora sulle dittature del novecento ma anche sul potere dei media e sul concetto di sviluppo dell’individualità, che si manifesta effettivamente con i fatti compiuti dall’uomo. Una riflessione su cosa è e non è, su come l’uomo con il suo intervento sia capace di cambiare la storia, piccola o grande che sia.
L’Infanzia Di Un Capo dimostra la capacità del giovane regista (Corbet è del 1988) di saper analizzare e contestualizzare con stile un argomento di grande impatto sociale, storico e filosofico. Una sceneggiatura equilibrata e ben scritta dallo stesso regista con Mona Fastvold e Caroline Boulton, diretta con il 35 mm, che rende il film particolarmente notevole ed esteticamente interessante.
Il cast ben selezionato e con attori del calibro di Liam Cunningham (l’amato Davos Seaworth di Game of Thrones) e Bèrènice Bejo, vincitrice del premio come miglior attrice al 66° Festival di Cannes per Il Passato di Asghar Farhadi, collabora alla buona riuscita del film, che si avvale anche di un buon Robert Pattinson, che cerca in ogni modo di distaccarsi dall’immagine del vampiro Edward Cullen (per il cui ruolo nella teen saga Twilight ebbe ed ha tuttora un’incredibile notorietà). Ottima anche la scelta delle due coprotagoniste, le attrici Yolande Moreau (vincitrice di numerosi premi César) e Stacy Martin (la giovane Joe del film Nymphomaniac di Lars Von Trier).
L’Infanzia Di Un Capo è la classica perla d’autore che ci si aspetta di trovare relegata in contesti festivalieri e che non necessariamente gode della visibilità che meriterebbe se e quando raggiunge il grande pubblico, ma che – come nella maggior parte di questi casi – lascia il segno in chi lo guarda. La commistione tra letteratura, teatro e cinema rende la pellicola di Brady Corbet misteriosa e affascinante, un punto di vista inaspettato per raccontare la storia.