Gypsy: vagabonda. Vagabonda nell’identità, nelle relazioni e nel tempo. Passato e presente si accavallano nella storia di un’antieroina terrorizzata dalla possibilità di perdere la propria libertà e indipendenza, e che, incapace di esistere in una sola dimensione, evade dalla sua vita perfetta e gioca sul filo del rasoio.
Lei è Jean Holloway (Naomi Watts), protagonista di Gypsy, nuova serie targata Netflix ideata da Lisa Rubin e disponibile in streaming sul web service di Los Gatos. La telecamera è l’occhio di Jean, e il precipitare degli eventi diventa un racconto in prima persona. Un viaggio nella scoperta degli impulsi, verso ricerca dell’instabilità. Una discesa nella spirale, nell’anima incoerente dei personaggi, che si sfogliano progressivamente mettendo a nudo il proprio nucleo centrale. Inquadrature e colori che, quando si affonda nei sentimenti, suggeriscono un senso di claustrofobico soffocamento, un coinvolgimento voluttuoso dei sensi. Erotismo e sensualità in luci dorate. L’impulso di evadere dalla realtà, e crearsi una vita parallela, si traduce nel gioco rischioso del doppio: Jean Holloway si veste pericolosamente della maschera del suo alter ego, Diane Hart. Due identità contrapposte e coesistenti, entrambe vissute tanto intensamente che la protagonista stessa alla fine non sa quale sia quella più reale. Ruoli inconciliabili, attraverso cui Jean/Diane esercita la sua opera di manipolazione, dominando probabilmente per il semplice gusto di soggiogare. In un vortice di menzogne e molteplici identità, Jean diventa un fantasma, nella propria vita e in quella degli altri, impalpabile. Esiste una solida facciata, ma nulla dietro.
In linea con la filosofia della serie, secondo cui l’unico momento ad avere valore è il presente, la storia inizia in medias res. Ci si apre semplicemente una finestra sulla vita di Jean, e non c’è un evento che segni l’inizio del vortice di autodistruzione consapevole. Quando Jean entra in una caffetteria, nella scena iniziale, e ordina il suo caffè a una barista, Sidney (Sophie Cookson), ci è già chiaro che la conosca già. Jean inizia a sdoppiarsi: è Diane con Sidney, con cui inizierà una relazione di necessaria codipendenza, e resta Jean con Michael (Billy Crudup), suo marito. Il tema dell’identità è un filo rosso che attraversa tutta la serie, allargandosi a comprendere anche i concetti di identità sessuale e di genere, entrambi trattai con tatto e neutralità. Ossessioni, dipendenze, debolezze accomunano tutti i personaggi, che scivolano insieme alla protagonista in una vertiginosa spirale alla scoperta dell’irrazionalità istintuale. Ma Jean utilizza il suo alter ego anche per istaurare relazioni intollerabili con i familiari dei suoi pazienti (è una psicoterapeuta), e lei stessa esce con i suoi pazienti dai limiti che la professionalità imporrebbe.
Da questi presupposti ci si aspetterebbe una serie estremamente coinvolgente, ma Gypsy si perde nelle lunghe sequenze riflessive. La serie si limita ad affascinare: l’assenza di un ritmo sostenuto e la mancata discesa nelle profondità dei personaggi (si mostra solo si sfuggita il tormento sottinteso alle scene più cariche emotivamente) precludono la possibilità di essere pienamente coinvolti. Una sensazione di incompiuto pervade il finale, complice l’assenza di un passato, a cui si fanno soltanto continue allusioni, e una protagonista che pare vivere esclusivamente il presente. Lo spettatore resta disorientato, ed è obbligato a rivisitare tutte le convinzioni formatasi durante i dieci episodi. Pur partendo da un buon potenziale, Gypsy si ritrova ad essere sostenuta prevalentemente dall’ottima recitazione di Naomi Watts, e dalla buona sceneggiatura, mentre si perde in parte la qualità delle scene e delle storie secondarie.
Gypsy: su Netflix Naomi Watts e le 50 sfumature di psiche (recensione)
Naomi Watts è la grande protagonista della nuova scommessa Netflix, che a dispetto delle grandi potenzialità non convince del tutto.