Lo scorso anno ci ha regalato un considerevole numero di straordinarie pellicole horror-mistery, e tra queste ci sono anche un paio di titoli provenienti dalla Corea del Sud: il meraviglioso The Handmaiden di Park Chan-Wook, conferma del talento di uno dei registi più influenti e conosciuti della penisola coreana, e The Wailing, terzo film di Na Hong-Jin che ha sbancato i Blue Dragon Film Awards e a cui in questa sede vogliamo riservare un doveroso approfondimento.
In un quieto villaggio rurale si scatena una strana epidemia e si moltiplicano gli omicidi all’interno dei nuclei familiari; mentre cerca di far luce su questi strani avvenimenti, l’agente Jong-Goo (Kwak Do-Won) scopre che nel villaggio si è diffusa la voce che malattie ed omicidi hanno fatto la loro comparsa in paese subito dopo l’arrivo di un pescatore giapponese (Jun Kunimura) che vive tra le montagne.
Inizialmente scettico, Jong-Goo comincia a credere alla colpevolezza del giapponese dopo l’incontro con Moo-Myeong (Chun Woo-He), una misteriosa donna vestita di bianco che dice di aver visto lo straniero vicino alle case in cui si sono consumati i brutali omicidi, dopo che anche sua figlia Hyo-Jin ha cominciato a mostrare i primi segni della malattia. Si reca quindi alla ricerca della capanna in cui vive l’uomo alla ricerca di prove che confermino le dicerie, mentre a casa sua viene chiamato uno sciamano (Hwang Jung-Min) incaricato di scacciare gli spiriti che sembrano perseguitare la piccola Hyo-Jin.
The Wailing è un film particolarmente sagace che non si limita a seguire gli stilemi di un solo genere ma che li piega al proprio volere, spaziando dal thriller al noir fino all’horror, giocando continuamente a depistare lo spettatore e a ribaltare le sue aspettative.
Na ci presenta inizialmente quello che sembra a tutti gli effetti un horror – piuttosto scontato, apparentemente – per poi spostarsi lentamente verso lidi tendenti al thriller e al mistero. Sostanzialmente la struttura del film non è innovativa: un poliziotto goffo e sfaticato deve scoprire chi sia l’autore dei misteriosi e violenti omicidi che si susseguono nel suo paese; eppure Na riesce a creare qualcosa di personale e decisamente riuscito soprattutto grazie alle continue allusioni alla Bibbia e alla religione cristiana che allargano la sfera tematica di The Wailing, risultando profondamente legata alla spiritualità, intesa sia nell’accezione religiosa del termine sia in quella folkloristica tipica dell’Estremo Oriente.
Inoltre spicca una cura quasi maniacale per le ambientazioni, esterne ma soprattutto interne, che vengono esaltate dalla fotografia di Hong Kung-Pyo (già direttore della fotografia di Snowpiercer e Mother di Bong Joon-Ho). Luoghi come la capanna del giapponese o i boschi sulle pendici montane hanno una carica particolare e trasmettono l’idea di avere a che fare con qualcosa di oscuro e sovrannaturale, difficilmente comprensibile per i comuni abitanti del villaggio.
Superlative anche la regia e la gestione del ritmo di Na, che mette in risalto ancora una volta come i sudcoreani siano a livello tecnico una spanna avanti rispetto a tantissimi registi occidentali. A tal proposito è esemplare la scena che mostra in montaggio alternato il rituale dello sciamano contrapposto a quello, molto simile, compiuto dal giapponese nella sua capanna che in vari momenti rischierebbe di scadere nel patetico ma tra le mani di Na si carica di un’intensità e di una potenza incredibili.
Il finale arriva forte come un pugno nello stomaco. La verità sembra essere a portata di mano, ma The Wailing gioca ad instillare il dubbio nello spettatore: chi è che mente? Il giapponese o la donna misteriosa? Forse lo sciamano? Sta a noi scegliere di chi fidarci, ma la verità ci sarà chiara solo dopo che il gallo avrà cantato tre volte.
Horror, thriller, noir, poliziesco, mystery: in The Wailing sembra esserci tutto questo, ma è tutto tenuto assieme da una sceneggiatura scritta divinamente che non lascia spazio ad alcuna minima sbavatura.
Va detto che chi si aspetta di trovarsi di fronte ad un horror vero e proprio rischierà di rimanere deluso perché l’obiettivo del film di Na non è quello di fare paura (anche se va riconosciuto che nella prima parte la tensione c’è e si fa sentire concretamente) ma quello di servirsi dell’horror per arrivare a parlare di temi come la religione e la paura del “diverso”.
La forza di The Wailing sta proprio nel fatto che riesce a trattare un tema ampio e spinoso come quello della fede all’interno di un genere piuttosto costrittivo e ben delineato come l’horror, riuscendo anche ad evitare di scadere in una trattazione trita e banale della questione del timore nei confronti dello straniero.
Ciò che colpisce è come Na sia riuscito a rappresentare personaggi estremamente umani in un contesto sovrannaturale, infatti Jong-Goo e i paesani si comportano proprio come si comporterebbe ognuno di noi di fronte ad eventi del genere, con un misto di disperazione di fronte a ciò che non si può comprendere, di scetticismo nei confronti di ciò che ha a che fare con spiriti e demoni e di timore quasi reverenziale rispetto a concetti così grandi come la vita, la morte e la fede. E’ proprio questo a renderlo un film scritto magistralmente.
The Wailing rappresenta la consacrazione di uno dei registi più promettenti degli ultimi anni, che dopo gli apprezzatissimi The Chaser e The Yellow Sea leviga le imperfezioni e confeziona un film quasi perfetto sotto tutti i punti di vista.
The Wailing: Na Hong-Jin firma uno splendido horror spirituale (recensione)
Il film del talentuoso regista coreano, presentato lo scorso anno a Cannes, è uno dei più interessanti titoli recenti provenienti dall'Estremo Oriente.