Quest’anno il regista Ivan Silvestrini ha già dimostrato di essere particolarmente a proprio agio con le autovetture, riuscendo nell’impresa quasi impossibile di dare ritmo e freschezza a un film sentimentale completamente ambientato in un’automobile (qui la nostra recensione del suo 2Night). Ora il regista romano si appresta a tornare nelle nostre sale con Monolith, ma questa coproduzione Sky Cinema – Look & Valentine – Sergio Bonelli Editore datata 2016 è ben lontana dalle atmosfere della pellicola con Martari e la Gioli: stavolta i toni sono quelli di un thriller con venature survival e sci-fi, e dall’affollato setting della Roma notturna si passa al sole cocente di un remoto deserto statunitense (location che ricorda il Mine di Resinaro e Guaglione, altro lavoro italiano da esportazione girato in contemporanea).
UN FILM ITALIANO A VOCAZIONE INTERNAZIONALE
L’internazionalità di Monolith, che se non andassimo a leggere i nomi di regista e autori potrebbe tranquillamente passare per un progetto a stelle e strisce, è l’elemento che inizialmente salta maggiormente all’occhio: il lavoro di Silvestrini infatti, costato circa un milione di dollari, ha fatto il suo debutto internazionale al Frightfest di Londra ed è già stato venduto sul mercato televisivo statunitense e sul mercato asiatico.
Il soggetto nasce dalla mente del fumettista Roberto Recchioni (autore e curatore di Dylan Dog) ma non è una conversione dalla pagina alla pellicola, bensì un’opera che si sviluppa in parallelo sui comic della Bonelli e su celluloide, con prerogative diverse capaci di sfruttare i punti di forza dei rispettivi media.
UNA STORIA À LA BLACK MIRROR
La storia è quella di Sandra (la Katrina Bowden di 30 Rock), una ex cantante che si è ritirata a vita privata per dedicarsi alla maternità e che ora si trova ad attraversare il deserto in compagnia di suo figlio piccolo. I due viaggiano a bordo della smart car più sicura del mondo: la Monolith. Più blindata di un Lince e più intelligente di una Tesla, la Monolith è una super-vettura futuribile concepita per garantire ai passeggeri la massima sicurezza su ogni fronte: inespugnabile dall’esterno e dotata di un’intransigente IA.
Quando in seguito a un incidente Sandra si troverà bloccata fuori dalla macchina mentre il figlio è ancora ‘prigioniero’ al suo interno, partirà una corsa contro il tempo per escogitare un modo di aggirare i sistemi di sicurezza della Monolith in pieno deserto e salvare così il piccolo da morte certa.
Mentre il fumetto di Monolith esplora in modo più approfondito le implicazioni di una società che si affida ciecamente alla tecnologica, la pellicola si concentra sul dramma di una madre disposta a tutto per salvare il figlio: un tema universale ad alto impatto emotivo che ben si presta al racconto cinematografico. Da questo punto di vista è interessantissima la dicotomia che viene messa in scena da Silvestrini: mentre la macchina che dà il titolo al film è una presenza futuristica ma sostanzialmente passiva e inamovibile, la lotta disperata della protagonista – tra sudore, lacrime, polvere e sangue – trascina la storia su un piano primitivo e istintuale che si contrappone alla fredda logica che anima i circuiti della vettura. Gli autori Uzzeo, Silvestrini, Bucaccio e Sardo trattano il dualismo con maestria, ma a suggellare la dinamica futuro-passato ci pensa Silvestrini con un’apprezzata citazione di 2001: Odissea nello Spazio, in cui Sandra – inquadrata dal basso – mena per aria una gigantesca chiave inglese come faceva con un osso la scimmia in apertura del film di Kubrick, stavolta però scagliandosi contro il monolite nero dell’intelletto artificiale.
IL PREGIO DI SAPER RACCONTARE IN POCO TEMPO
La regia di Silvestrini, che alterna sapientemente riprese più sporche a spettacolari voli col drone, è incredibilmente matura ed esperta, e ancora una volta si dimostra capacissima di arricchire script piuttosto essenziali con un linguaggio di macchina estremamente consapevole. Ad aiutarlo nel raccontare in modo spettacolare questa doppia sfida tra una donna, la tecnologia e la natura, ci sono le immagini di Michael FitzMaurice, che esordisce come autore della fotografia di un lungometraggio ma vanta una consolidata esperienza come tecnico di camera e luci nelle più importanti pellicole di Christopher Nolan.
Una fattura pregevole, la performance estremamente convincente della Bowden e un metraggio decisamente agile (Monolith dura un’ora e venti minuti, poco più di 2Night) non bastano però a salvare Monolith da qualche rallentamento di troppo: in fin dei conti la storia è ridotta all’osso e lo sforzo di fornire un contesto biografico alla protagonista sembra più voler allungare il brodo che dare un reale contributo alla narrazione. Nonostante ciò il film è così piacevolmente lontano dai soliti pigri schemi del cinema italiano contemporaneo che anche i difetti meno latenti finiscono per avere un peso marginale sull’insieme.
Silvestrini ha dimostrato ancora una volta di sapersi discostare dalle classiche commedie nazionalpopolari che affollano il cinema tricolore, e proprio per questo ci stupisce che proprio in questi giorni abbia finito di girare Arrivano i Prof, una commedia scolastica su un corpo docente a dir poco disfunzionale con protagonista Claudio Bisio. Scommettiamo che anche in questo contesto Silvestrini si distinguerà positivamente, ma per una volta che un regista si dimostra un solidissimo demiurgo di archi narrativi che potrebbero consumarsi in meno di un’ora, ci piacerebbe vederlo cimentarsi con una serialità televisiva (anche internazionale) di alta qualità. Saper completare un arco narrativo originale e soddisfacente in poco tempo è un pregio di pochi, e in questo Ivan Silvestrini è un vero talento. Monolith sarà nei cinema dal 12 agosto.