Il socio fondatore di Writers Guild Italia, Andrea Magnani, ha scritto, prodotto e diretto il film Easy – Un viaggio facile facile, presentato in concorso nella sezione Cineasti del presente al 70 Locarno Festival. Lo ha intervistato Giovanna Koch della Writers Guild Italia.
Ciao, Andrea, un grande idea si trova perfettamente a suo agio in un breve pitch. Dimostracelo. Che cosa racconta Easy – un viaggio facile facile”?
Beh, dipende dal “pitchatore”. Partiamo dal fatto che non sono bravo a pitchare le mie storie ma cercherò di fare meno danni possibile: Isidoro, chiamato da tutti Easy, deve intraprendere un viaggio verso l’Ucraina per poter riavere indietro la sua vita. E lo fa riportando a casa la salma di Taras, un muratore ucraino morto in un incidente sul lavoro. Più che un pitch è una logline ma spero di aver spiegato il senso del film.
Chiarissimo. Altra domanda rigorosamente di prassi per noi scrittori… Ma dove, quando, come ti è venuta in mente questa storia? Quale immagine/simbolo ti è apparsa per prima, il protagonista, la bara…?
Da piccolo ero legatissimo ai film western, forse come la maggior parte dei bambini, e ho sempre voluto realizzare un western, magari anche inconsciamente. Anche se in questo caso il viaggio è tutto a est e si ambienta ai giorni nostri. Ma secondo me Easy è un cavaliere solitario che percorre lande deserte per andare incontro al suo destino. Diciamo che sono partito da qui, da questa voglia. Però come immagine, devo dire che la bara e il concetto di morte li ho sempre desiderati declinare in una storia. Ed è stata un’immagine sempre presente dentro ai miei pensieri.
Le persone grasse sono amabili, ma l’obesità è un pericolo serio. Chiedi al tuo protagonista di mettersi a dieta alla fine? Easy è un film educativo da questo punto di vista o il suo obiettivo è altrove?
No, non c’è un messaggio sul pericolo dell’obesità in Easy. Il tentativo era quello di andare contro il luogo comune che una persona in sovrappeso fosse da considerare, più che amabile, una persona fallita, incapace e impossibilitata di poter ambire ad un ruolo da protagonista della propria vita. Easy è in sovrappeso, è vero, ma al posto suo avrebbe potuto esserci qualsiasi protagonista che si sentiva abbandonato dalla vita. Mi sembrava che l’obesità raffigurasse visivamente meglio questo aspetto.
Largo alla commedia, dunque. Non si può dire che sia un genere poco frequentato in Italia, ma se ti invitassi a farmi un elenco degli ingredienti necessari per costruire una buona commedia, proprio sulla base di Easy, che cosa mi risponderesti? Un protagonista sfigato, per esempio, lo metteresti al primo posto della ricetta?
Non saprei. Mi piace raccontare le storie con il registro della commedia ma mi faccio rapire e convincere di più dalle situazioni e da singole immagini. Per esempio su Easy, quando ho visualizzato nella mente la bara e una persona sovrappeso che la trasportava, ho capito che c’era margine per raccontare quello che mi interessava. Ma se prendiamo come esempio altre commedie, invece, personaggi come Easy, inadeguati e “sfigati”, non sempre sono scelti come protagonisti, tutt’altro. Penso che la commedia scaturisca sempre dalle situazioni in cui cali i tuoi protagonisti al di là della “etichetta” che dai ai tuoi personaggi.
Leo Benvenuti era solito dire che un buon copione comico lo capiscono in pochi, che quando lo leggi sembra “brutto”, che è uno strumento “difficile”, da interpretare… Che accoglienza ha avuto il tuo?
Devo dire che ha avuto una buona accoglienza. Forse per il tipo di storia, insolita per una commedia, ha suscitato attenzione in chi la leggeva. La cosa interessante, è che veniva capita anche da altri europei che non fossero italiani. Easy è una commedia fatta di pochi dialoghi, quindi il lato della commedia scaturisce dalle situazioni e forse questo aspetto ha facilitato la buona accoglienza dello script anche da parte di partner tedeschi, americani o ucraini, per esempio.
Un produttore svedese, durante un pitch, mi chiese di specificare il tipo di commedia che gli stavo proponendo: “E’ una commedia-commedia o una commedia-ahahah?” Lo chiedo anche a te: quanto vuoi che il pubblico rida, Easy è una “ahahah”?
Il tentativo è sempre stato quello di correre sul filo sottile che divide la commedia dal dramma. Io spero che Easy possa far ridere e un attimo dopo far riflettere, far emozionare, anche magari con registri diversi da quelli della commedia.
Hai scritto il copione da solo, tu che hai lavorato tanto in tv e sei abituato al lavoro di gruppo… Com’è andata? Ti è mancata una spalla?
Easy è una storia che ho cullato per anni, e che sento molto mia, quindi non ho avuto difficoltà a scriverla da solo. Però ho avuto compagni di viaggio importanti durante il processo di scrittura: Nicos Panayotopoulos, un amico, che mi ha aiutato enormemente come story editor e Chiara Barbo, che mi ha dato preziosi consigli e che firma la collaborazione alla sceneggiatura.
Fermiamoci un momento sul rapporto tv/cinema. Hai dichiarato altrove che il cinema ha il vantaggio di poter sfruttare il silenzio… Ci spieghi meglio?
Credo che sia un vantaggio che ci si prende, laddove si possa. Tieni presente che Easy l’ho anche co-prodotto, quindi il mio margine di libertà narrativa era molto alto. Invece, per mia esperienza personale, non mi è mai capitato di avere questa libertà in televisione. Se avessi proposto uno script televisivo dove il protagonista quasi non parla, probabilmente non mi avrebbero nemmeno aperto la porta.
La tv ha il vantaggio di commissionare molte ore di scrittura e consentire senza troppi rischi gli esordi al cinema, preparando di fatto i professionisti. In questo senso, WGI ha spesso lamentato la sparizione di quasi tutte le soap e teme una desertificazione nel ricambio di autori. Tu hai collaborato a scrivere Coliandro… Cosa ci racconti di quell’esperienza, rispetto al tuo esordio di oggi per le sale?
È un tema complesso, che mi fa stare male quando penso che in altre realtà in giro per il mondo, la fiction televisiva è la forma espressiva di entertainment più sperimentale e avvincente. Se pensiamo che Suburra è la prima serie prodotta da Netflix in Italia mentre in altri paesi europei Netflix collabora da anni, ti da il peso della situazione deprimente in cui versa il mercato della fiction italiana. Con Coliandro, ricordo, ci fu quasi una congiunzione astrale: grazie al peso specifico di Lucarelli in Rai Fiction (all’epoca conduceva con ottimi risultati il programma Blu Notte) abbiamo avuto un’enorme libertà.
La scrittura per la fiction televisiva può essere una palestra importante, ma al tempo stesso anche una gabbia da dove poi è difficile uscire. Non ti nascondo che ad un certo punto, complice anche la crisi nella produzione di fiction di qualche anno fa, ho colto la palla al balzo per allontanarmi un po’ da quel mondo per capire se davvero volevo fare solo quello nella vita, o magari pensare di raccontare in qualche altro modo. Ed è così che è arrivato Easy. Anni difficili, ad essere sinceri, dove la stabilità economica che mi garantiva la fiction televisiva era ormai una chimera, ma è una scelta che rifarei.
Parliamo dei tempi: la commedia ha bisogno di molti eventi comici e dunque di molte azioni che trasferiscono il film in una zona di facile fruibilità per il pubblico, eppure… Eppure tu hai dichiarato di aver voluto costruire tutto il film su un significato profondo, il peso del passato di cui non riusciamo a liberarci… Un tema forte: ti cito per tutti l’uomo che trascina pianoforti nel surreale Un Chien Andalou di Buñuel. Come hai fatto a mantenere salda la presa su questo tema, hai allineato in qualche modo le azioni comiche su questa dialettica o cosa?
Si, come ti dicevo prima, ho cercato di saldare la situazione da commedia con un piano narrativo più alto. In fondo, la commedia è la più grande delle tragedie. Il tentativo è stato quello di raccontare per sottrazione, da qui anche la scarsità di dialoghi all’interno del film.
Ti consultiamo su un altro punto tecnico. La scuola di scrittura USA ha imposto, anche in Italia, la costruzione di un background del protagonista: è una lezione che non utilizziamo sempre bene. Certe volte mettiamo sulle spalle dei nostri eroi delle inutili stranezze, arzigogoliamo per giustificare un comportamento. Quindi, perché Isidoro è un pilota di go-kart? Non basta una semplice patente per guidare un carro funebre?
In questo caso non bastava che avesse una patente. Il passato è importante per Easy: ci racconta che un tempo, lui, era un’altra persona, con un talento, con una traiettoria di vita con il sole in faccia. Quando comincia il film lo ritroviamo vent’anni dopo, depresso e fallito. Ritornare alla guida, seppure di un carro funebre, è riscoprire quel suo passato.
Easy è una co-produzione italiana e ucraina. Come è avvenuta questa alleanza? Avevi già pensato che il viaggio avrebbe dovuto svolgersi in Ucraina o hai spostato la tua location in seguito?
Inizialmente, nella primissima stesura, il film era ambientato tra l’Italia e i Balcani. Ma poi mi sono ritrovato su un’isoletta dell’Egeo, a Nisyros, all’interno di un workshop europeo, il Mediterranean Film Institute, a scrivere il film e nel mio gruppo di lavoro c’erano quelli che sarebbero diventati i miei co-produttori ucraini. Si sono innamorati di Easy e mi hanno invitato in Ucraina per capire se quel paese poteva andare bene per raccontare il film. E là ho trovato semplicemente il posto che cercavo, che mi ridava quel senso di smarrimento e incomunicabilità di cui aveva bisogno la storia.
Easy è stato girato in più di due mesi, e sembra un lusso nel panorama del cinema italiano. Come ci siete riusciti? Che cosa ti ha fruttato questo tempo in più? A che cosa avresti dovuto rinunciare in caso contrario?
Siamo riusciti a girare di più rispetto alla media delle opere prime italiane per due motivi. Il primo è grazie alla co-produzione con l’Ucraina. Il loro apporto economico ci ha permesso di realizzare, in Ucraina, quello che volevamo. La seconda è che i road movie, non ripetendo quasi mai una location, hanno sempre bisogno di più tempo. E’ proprio una questione tecnica: sposti la crew continuamente e questo porta ad un allungamento dei tempi.
Cosa avrei dovuto rinunciare? Beh, ad esempio, girando la parte italiana, non ho più avuto i privilegi che avevo in Ucraina e lì sono iniziati i dolori. Avevamo meno ore di lavorazione, meno location e ho dovuto quindi rinunciare a qualcosa. Ma è andata bene così alla fine.
Che cosa ha insegnato a te questo tuo film? Come vedi il tuo futuro adesso?
Bella domanda. Non so rispondere con decisione. Sono contento che dopo tanta semina, si sia arrivati in fondo. Easy è fatto e finito e ora andrà per la sua strada e questo non era per niente scontato quando ho iniziato. Il progetto ha subito ritardi notevoli durante la sua gestazione e più di una volta ho pensato che non avrebbe mai visto la luce. Mi ha insegnato che ad inseguire i sogni si invecchia, ma se poi si avverano sei più felice di quando hai cominciato.
E per il futuro vedremo, forse un’altra avventura sgangherata come quella che ha portato a Easy, chissà!
(intervista a cura di Giovanna Koch)